Giulio Sapelli

La May nell’angolo/ Per evitare la Brexit servono le elezioni

di Giulio Sapelli
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Mercoledì 27 Febbraio 2019, 00:05
La Brexit è stata ed è un processo politico, non economico come invece è comunemente inteso. Il referendum che le ha dato vita riflette una pesante divaricazione prodottasi nella cuspide più ristretta delle classi dirigenti del Regno Unito. Tanto è vero che tutto ha inizio con il referendum del 18 settembre 2014 sull’indipendenza della Scozia, che si concluse con la sconfitta degli indipendentisti e la vittoria di coloro che volevano rimanere nel Regno. Ma lo scarto fu modesto (vinsero con il 55% dei voti) e ciò indebolì forse irreversibilmente il partito laburista, i cui quadri di prim’ordine passarono con gli indipendentisti, e aprì una ferita insanabile tra i conservatori che da allora persero completamente quella stabilità ideologica e politica che ne aveva caratterizzato la storia.

Sicché, tanto per i laburisti quanto per i conservatori il conflitto si aprì sia sulla politica estera (il rapporto da un lato con gli Stati Uniti e dall’altro con la Cina) sia su un succedaneo della politica estera medesima, ossia il rapporto con l’Europa. Non l’Europa monetaria, ma l’Europa a direzione tecnocratica con “pilota automatico” a orientare la politica economica. 

Su tutto ciò il rapporto con la Germania e la Francia, potenza nucleare anch’essa, che a sua volta sceglieva sempre più chiaramente di sdraiarsi sulle sponde del Reno.

Un atteggiamento, quello della Francia nei confronti di Berlino, premessa di un rapporto privilegiato che di fatto indeboliva il ruolo internazionale del Regno Unito, come le vicende del Medio Oriente sempre più dimostravano e dimostrano.

La decisione di David Cameron, capo e non leader dei conservatori, di indire un referendum fu tra le più deleterie. Ci si illuse di risolvere le contraddizioni nel partito con un atto bonapartista, plebiscitario, insomma con un nuovo sfregio, dopo quello scozzese, al parlamentarismo britannico. 

Una tradizione che ispira le democrazie di tutto il mondo perché coniuga, tramite il Parlamento, democrazia e liberalismo politico secondo l’immortale insegnamento di Edmund Burke, ebbene quella tradizione ora veniva messa in discussione. Sicché accadde quanto era prevedibile: la lacerazione del popolo e delle élite britanniche. I caffè londinesi non hanno mai avuto nulla da spartire con il Regno e tantomeno con i britannici.
La Brexit è un evento tragico perché rende a tutti manifesto quanto sia deleterio e drammatico il ricorso alla democrazia diretta, al voto popolare non intermediato da una classe politica: quest’ultima può più facilmente incivilirsi rispetto al popolo elettore, che spesso è preda di ogni demagogo se lasciato solo nella verticalità della decisione politica. 

Per questo la Brexit è una tragedia: una volta che essa si è affidata alla democrazia diretta, mette in crisi la culla della civiltà democratica post liberale. Ma la tragedia è ancor più grande perché nulla insegna alla cuspide di comando dell’Unione Europea, percorsa com’è da una crisi di nervi da probabile abbandono e decomposizione anche a causa della crisi economica (e politica) che sta colpendo tutto il mondo.

E quel che è peggio è che nulla insegna alla classe politica del Regno Unito: i laburisti rendono manifesta la loro confusione morale e politica invocando un nuovo referendum che altro non può fare che dilacerare di nuovo la culla della democrazia liberale, mentre i conservatori rendono manifesta la loro decomposizione dilaniandosi in una lotta senza quartiere tra britannici e mondialisti multilateralisti.

A questo punto, solo il Parlamento - anche con il ricorso al voto anticipato prima della scadenza della Brexit - può condurre alla ragione uno Stato frastagliato in più nazioni come il Regno Unito. E dunque, la Brexit può attendere? Certo che può attendere, a patto però che cali l’isteria da entrambi i lati. Quella dell’Unione che vuol decidere anche sui confini irlandesi riaccendendo le braci di una tragedia (un’altra) appena spenta. E quella del Regno Unito che non può continuare a veder inabissare il suo ruolo mondiale sulle rive di quel mare sempre più limaccioso che è una Unione Europea sottoposta alla sfida più insidiosa della sua breve storia e di cui tutti fingono di non accorgersi: la Brexit, appunto.
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