Gianfranco Viesti
Gianfranco Viesti

L’impossibile tregua/Spacca-Italia, il pericolo non è ancora superato

di Gianfranco Viesti
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Sabato 23 Febbraio 2019, 00:35
Questa settimana ha segnato una tappa importante nelle vicende del provvedimento che a buona ragione è stato definito “Spacca-Italia”. E cioè la concessione di larghissime forme di autonomia differenziata, con tutte le relative conseguenze finanziarie, a Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Nelle dichiarazioni degli esponenti del Governo, il 15 febbraio avrebbe dovuto essere un giorno cruciale: con la definizione da parte dell’esecutivo dei testi delle Intese con le tre Regioni, la loro firma da parte del presidente del Consiglio e l’invio alle Camere della legge di ratifica. Che il Parlamento avrebbe potuto solo votare a maggioranza qualificata, senza la possibilità di emendarle, secondo l’interpretazione della prassi applicativa della Costituzione. Voto che, è bene ricordare anche questo, avrebbe comportato decisioni irreversibili, dato che i testi si sarebbero potuti eventualmente cambiare in futuro solo con l’assenso delle Regioni interessate. Una strategia ben studiata, con una forte accelerazione del processo in vista di una sua rapida conclusione. 
Le comunicazioni alle Camere di giovedì scorso da parte del premier Conte e del ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Erika Stefani disegnano un quadro diverso. Secondo Conte, «ci vorranno ancora mesi», perché quella svolta finora è solo un’istruttoria.

E Stefani spiega di non avere il dono divino per arrivare subito ad una soluzione. Per Conte, il Governo è disponibile ad aprire un confronto con il Parlamento sul contenuto delle Intese, nel rispetto delle sue prerogative. Ed egli si fa garante che verrà pienamente realizzata e rispettata la solidarietà nazionale, e che non è previsto in alcun modo il riferimento ad indicatori collegati all’introito fiscale. Nelle stesse ore riappaiono sul sito del Dipartimento per gli Affari Regionali le bozze ufficiali dei primi articoli delle Intese, in cui non figura quella correlazione fra il livello di finanziamento dei servizi e il gettito fiscale regionale, richiesta a gran voce dal Veneto e già concordata nella Pre-Intesa siglata nel febbraio 2018 – da tutte le tre Regioni – con il governo Gentiloni.

Perché questo mutamento tattico? Forse perché nei due partiti di governo è cresciuta la percezione del possibile costo politico-elettorale del percorso che avevano immaginato, poche settimane prima delle Europee. La Lega sta provando – con successo, a guardare i risultati in Abruzzo – a sfondare nel Mezzogiorno: e una discussione che mettesse in chiaro la sua volontà di premiare le regioni del Nord-Est a danno di quelle del Centro-Sud avrebbe ostacolato questo disegno. Gli elettori si sarebbero potuti rendere conto, carte e fatti alla mano, che il tanto decantato «prima gli italiani» è sempre stato e sarà «prima gli italiani del Nord».
Nel Movimento 5 Stelle, in declino elettorale, può darsi sia divenuto evidente il pericolo di perdere ulteriormente consenso fra un elettorato già perplesso da tante recenti decisioni. Forse perché le resistenze di alcuni Ministeri guidati da esponenti pentastellati hanno impedito di chiudere i testi integrali delle Intese nei tempi previsti. Forse anche perché la campagna di informazione realizzata da alcuni organi di stampa, avviata quando la politica tutta sul tema taceva, ha accresciuto di molto la conoscenza e la sensibilità dei cittadini su questi argomenti. È forte l’attenzione nella scuola, e tutti i sindacati si stanno unitariamente mobilitando; nel mondo della sanità, con tutte le organizzazioni delle professioni sul piede di guerra; in quello degli esperti di ambiente e di beni culturali, in cui si moltiplicano le prese di posizione.

Apparentemente il progetto della “secessione dei ricchi” è davanti ad ostacoli rilevanti. Sembrerebbe impossibile conciliare le richieste regionali di maggiori risorse con il mantra di questi giorni, ossessivamente ripetuto, che non ci saranno spostamenti all’interno del Paese; che, magicamente, tutti staranno meglio. Sembrerebbe impossibile che l’enorme mole di competenze e di risorse umane e finanziarie richieste dalle Regioni possa passare indenne l’esame parlamentare. 

Ma non è così: se il mutamento tattico è certamente un’ottima notizia, non deve lasciar pensare che i pericoli dello “Spacca-Italia” siano stati superati. Ce lo dice chiaramente Stefani sul suo profilo social (coronato dalla bandiera di San Marco): «Il percorso ormai è tracciato e non si può tornare indietro. Il giusto confronto con il Parlamento va assicurato, ma non ci sarà spazio per strumentalizzazioni, per discussioni fondate su dati falsi, su allarmi inesistenti». Non dice come il presidente della Lombardia Fontana che quanti si oppongono sono dei «cialtroni», ma i toni sono ugualmente decisi.

E un’attenta analisi delle bozze dei primi articoli delle Intese lo conferma pienamente: si mira alle risorse, anche se indirettamente; si vuole scardinare l’attuale organizzazione dei grandi servizi pubblici. L’articolo 5 ci conferma che la tanto decantata invarianza delle risorse vale solo per il primo anno. Dal secondo dovranno scattare i nuovi indicatori, i «fabbisogni standard». Vista anche l’esperienza di quelli definiti negli anni scorsi per i Comuni, non c’è nulla di cui stare tranquilli; essi implicano scelte politiche, e possono determinare grandi cambiamenti: non vi è alcuna garanzia che la Commissione che dovrebbe definirli in tempi da record sia esente da pressioni politiche e di forti interessi territoriali. 

Si noti anche che questi indicatori sono solo dei coefficienti di riparto dell’insieme delle risorse nazionali fra le Regioni: l’affermazione ripetuta, che essi produrrebbero efficienza e risparmi, è pura retorica. Ma c’è di più: le stesse bozze prevedono che per le Regioni firmatarie vi sia una clausola di garanzia per cui – se non si arrivasse ai nuovi indicatori – sarebbe comunque disponibile una somma «non inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale». Se è la spesa pro-capite è superiore nessun problema; se è inferiore deve aumentare. Per Lombardia e Veneto un guadagno netto garantito; naturalmente a spese delle altre regioni, dato che la spesa pubblica totale non può aumentare. Allo stesso modo, se il gettito fiscale regionale cresce, va alla regione; se diminuisce, se la devono vedere ancora una volta gli altri italiani. La tanto decantata invarianza impallidisce ancor più davanti all’articolo 6, che promette alle Regioni firmatarie la determinazione di un ammontare delle risorse fiscali in riferimento al fabbisogno per investimenti pubblici, da «attingersi da fondi finalizzati allo sviluppo infrastrutturale del Paese»: cioè, per alcuni ci sono risorse garantite per le infrastrutture, per gli altri si vede quel che resta.

Altrimenti perché inserirla?
Forti restano le conseguenze per gli assetti dell’intero Paese. Si dice che «detto schema sarà quello adottato per ogni Regione che chiederà l’autonomia». Ma se tutti trattengono una parte garantita del proprio gettito fiscale, con quali e quante risorse il governo può manovrare la finanza pubblica e far fronte al nostro enorme debito nazionale? E poi, sempre nelle bozze ufficiali restano enormi i poteri per la Commissione Paritetica (nove esperti nominati dal Ministro per gli affari regionali e nove dalla Regione), che opererebbe senza controllo parlamentare. Essa nei suoi primi quattro mesi di vita «determina le risorse finanziarie, umane e strumentali» necessarie, e le modalità per la loro attribuzione; monitora e verifica l’attuazione del tutto. Così come per i Consigli Regionali, che individuano «le disposizioni statali delle quali cessa l’efficacia nella Regione». Ed entro i primi quattro mesi si provvede al «riordino delle amministrazioni statali»: esse sono ridimensionate in proporzione alle funzioni e alle risorse trasferite.
E tutto questo non è che l’antipasto. La sostanza del provvedimento è nei circa 50 articoli delle Intese di cui sono disponibili solo bozze ufficiose. Lì c’è la regionalizzazione della scuola, dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, la scomparsa del servizio sanitario nazionale, la fine delle normative e degli standard nazionali in materia di ambiente, la parcellizzazione delle norme di tutela e sicurezza del lavoro, l’attribuzione di poteri sulla ricerca scientifica e tecnologica così come sull’urbanistica e sul territorio, la regionalizzazione della previdenza complementare, il potere di veto delle Regioni sulle nuove infrastrutture e il passaggio gratuito al loro demanio di strade e ferrovie esistenti (pagate, nel tempo, da tutti gli italiani); e molto altro.

La Lega si è spinta troppo oltre nelle promesse ai suoi sostenitori del Nord-Est. Una parte delle classi dirigenti di quelle regioni ha puntato con decisione su una sostanziale secessione dal resto dell’Italia. Non demorderanno così facilmente, e, appena le condizioni politiche lo consentiranno, torneranno con maggior forza all’attacco.
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