Mario Ajello
​Mario Ajello

I diritti e gli errori/ Il rispetto dovuto all’Italia va oltre Conte

di ​Mario Ajello
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Giovedì 14 Febbraio 2019, 00:00
L’anti-italianità, proprio come il suo esatto contrario, l’arci-italianità, è un’attitudine del carattere politico nostrano. Purtroppo con radici profonde, specialmente a sinistra. E riemerge ogni volta che l’Italia viene esposta al pubblico ludibrio da parte di chi, in Europa, per motivi di bottega elettorale (è il caso Verhofstadt) o per pregiudizi ideologici e antropologici (come fu anche nel celebre caso delle insultanti risatine di Merkel e Sarkozy), calpesta la dignità nazionale di un Paese che meriterebbe di essere più orgoglioso di sé. 

Insomma, il primo aspetto inaccettabile sono gli applausi italiani - smaccatamente irrispettosi del principio patriottico per cui right or wrong is my country - in favore delle dichiarazioni del leader belga dell’Alde. Che offendendo Conte offendono l’Italia che Conte, piaccia o non piaccia, legittimamente rappresenta e non è soltanto quella giallo-verde. Verhofstadt dando del «burattino» al premier ha degradato a marionette i cittadini italiani. I quali hanno scelto dei partiti che a loro volta, non in stile Mangiafuoco e imbrogliando i fili del baraccone ma secondo le procedure istituzionali, hanno indicato un capo del governo nominato da Mattarella. 

La fisiologia democratica è stata rispettata alla lettera e nessuna euro-offesa può metterla in dubbio, se non per malafede o per precisi interessi politici.Oltretutto, l’Italia è un Paese che in tutto e per tutto sta rispettando i vincoli europei e ciò rende ancora più irricevibile l’attacco alla sua dignità. 

Verhofstadt che dà del Pinocchio a Conte potrebbe - se ci si vuole mettere su questo registro - somigliare a sua volta a un personaggio della tradizione. Al Tartufo di Molière: e non nella lettura positiva che ne ha dato Cesare Garboli nei suoi saggi di critica letteraria ma in quella più classica della maschera dell’ipocrisia del potere, dell’attore che mette in scena l’impostura. Quella secondo cui l’Italia starebbe vivendo un’anomalia e uno stato di eccezione (quasi un colpo di Stato?). Quando invece così non è affatto e l’attuale premier è frutto di un accordo politico alla luce del sole, proprio come accadeva nella Prima Repubblica con statisti che piacevano all’Europa. 

E così, s’è trattato di una brutta battuta mediatica - con aspetti anche ridicoli perché Verhofstadt è quello che nel gennaio del 2017 stava per far entrare M5S nel suo gruppo per un pugno di soldi e funzionari in più da spartirsi - e di un atto di prevaricazione sull’Italia. Non degno di un liberale che, per principio dovrebbe rispettare la libera scelta degli elettori. E lasciare a loro la facoltà di giudicare i propri rappresentanti e di esprimere, semmai, al momento del voto, la delusione accumulata. 

È naturalmente criticabilissimo, e anche con buone motivazioni, il nuovo corso della politica italiana. Ma è illegittimo criticarlo dall’esterno sulla base di una presunta illegittimità del capo del governo. E neppure si può sindacare, da parte di certi settori europei o di certe «lobby», come le chiama Conte, sull’“eresia” italiana, cioè sul tentativo di darsi un’altra politica rispetto all’europeismo classico e all’impostazione generale, negli affari interni e in quelli internazionali, vigente negli ultimi decenni. Il punto è vedere se questa “eresia” stia producendo frutti, oppure no. E ciò spetta a noi giudicarlo. 

Purtroppo, una manovra economica senza investimenti e una programmazione politica non incentrata sulla crescita ma sulle mance elettorali e sulla tendenza ai compromessi al ribasso non stanno producendo, come era chiaro da subito, risultati positivi: il che va a tutto svantaggio dei cittadini. Nella discrepanza tra le aspettative e i risultati, nella palude della bassa crescita, hanno buon gioco i signori di Bruxelles, per muovere i loro attacchi. Il deficit di credibilità politica dell’Italia ha creato sfiducia nei mercati e questa sfiducia viene utilizzata da chi persegue logiche egemoniche e si trova spiazzato di fronte a un Paese che si era abituati a vedere docile e subalterno. E che adesso sta cercando di darsi un atteggiamento diverso. 

Questa strategia, questa rivendicazione di discontinuità, sarebbe però più efficace se accompagnata dalla capacità di trovare sponde presso i partner stranieri. Perché sono necessarie vere interlocuzioni internazionali - e queste scarseggiano - per raggiungere gli obiettivi nazionali che ci si prefigge e per dare al nostro Paese quello sviluppo che per ora non c’è. 

Domina viceversa la tentazione all’isolamento e questa diventa l’alibi maneggiato dagli altri per sferrare i loro affondi. Che non convengono a nessuno. Perché si aiuta di più l’Italia rispettandola, piuttosto che ridicolizzando i suoi rappresentanti, e si favorisce di più l’Europa non cercando di indebolire pretestuosamente uno dei suoi pilastri.
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