La cosa bella del libro - per cui merita di essere dedicato ai nipoti dell’autore, Leo e Emma, «affinché colgano il significato delle origini, di una parte delle loro radici» - è che in questo lungo tragitto ostinato e contrario il protagonista riesce, ed è quasi una rarità nel suo contesto, a non cedere ai bassi istinti dell’ideologia, a restare aderente a una concezione umanitaria, aperta, progressista e non dogmatica dell’essere rocciosamente comunista. La burocrazia della rivoluzione (mancata) non lo ha minimamente riguardato. Anzi, il suo tratto di irregolare, pur nel rigore della militanza, è quanto di più prezioso possa esserci in Santarelli.
Uno che, mentre la violenza gli girava intorno, sapeva smontarla come fece quel giorno terribile del famoso corteo del 12 marzo del ‘77. Un gruppo di autonomia operaia svaligia l’armeria sul Lungotevere ed esce trionfante dall’esproprio proletario agitando la merce trafugata: pistole, coltelli, fucili. A un ragazzo che mostra come trofeo di guerra una canna da pesca, Santarelli si rivolge così: «Ma ora che cosa ci fai con questo aggeggio? Scenni ar fiume e ce vai a pesca’?». E il ragazzo - si legge nel libro - «capì il senso ironico e piccato della mia domanda e mi rispose: so’ cazzi mia, ma che sei ‘na guardia?». E quando è in viaggio di nozze, Santarelli non si perde un corteo. Quando, nel ‘63, è in ospedale per farsi curare un’ulcera, a un certo punto sente le voci di un corteo e richiamato da questi slogan degli edili in sciopero scappa dalla corsia e si unisce ai manifestanti. Una passione travolgente per la politica, vissuta con serietà ma anche con leggerezza, conservando un’autoironia che non è stata di molti comunisti. Ed è anche grazie a questa risorsa che ancora adesso, quando tutto è finito, la fiducia di Pino nella politica sembra intatta come quella di un bambino che coccola il suo peluche e gli attribuisce tutta l’importanza che merita.
L’inesauribile curiosità personale e politica di Santarelli rendono questo libro un romanzo di formazione e la formazione del protagonista, ormai quasi ottantenne, sembra non finire mai. E qui sta l’attualità di «Rosso in cammino» e la totale assenza di nostalgismo in queste pagine fatte di Roma di giorno, di Roma di notte, di mercati, di tram, di riunioni, di volantinaggi, di feste, di viaggi. Ed è quasi un’avventura picaresca, quella di un eterno ragazzo che dal dopoguerra ad oggi - tra una sezione e l’altra, tra bevute, discussioni, rotture, riconciliazioni - rincorre l’idea di una società non diseguale. Senza mai flirtare con gli estremismi e senza mai scadere nel politicismo, nel carrierismo o nel velleitarismo gruppettaro. E così «Rosso in camino» diventa un piccolo grande affresco nazionale e popolare. Una sinfonietta folk e non una messa cantata al passato di un’illusione.
Il libro verrà presentato il 7 febbraio alle 19 alla libreria Caffè Tomo in via degli Etruschi 4 da Luciana Castellina, Simone Oggionni, Sandro Portelli, Claudia Pratelli e Stefano Ciccone con l'autore.
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