Carlo Nordio
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Toghe e migranti/ Il blitz mette alla prova l’autonomia della politica

Toghe e migranti/ Il blitz mette alla prova l’autonomia della politica
di Carlo Nordio
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Venerdì 25 Gennaio 2019, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13:53
La decisione del Tribunale dei ministri di Catania di chiedere al Senato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini arriva inattesa, perché, dopo la motivata richiesta di archiviazione della locale Procura e l’assenza di fatti nuovi, la questione sembrava, almeno giuridicamente, risolta.

Ora invece viene riaperta nel modo più incerto perché le sottostanti problematiche giuridiche sono complesse, e nel momento politicamente più difficile, perché i flussi libici sono ripresi, le polemiche stanno infuriando di nuovo, e per di più siamo entrati in clima elettorale. Speriamo che tutti, a cominciare dall’irruento ministro degli Interni, evitino di reagire in modo emotivo e scomposto, ed attendano una conclusione che sarà inevitabilmente politica e che potrebbe anche finalmente chiarire la reale posizione del governo e del Parlamento. 

Dal punto di vista giuridico vi sono in effetti molte incertezze da chiarire. La motivazione di Catania poggia sul principio che «l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati, e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare». Verissimo. Solo che qui la vita non c’entra nulla, perché i naufraghi erano stati salvati. Quanto al sequestro di persona, esso non minaccia affatto la vita, ma la libertà di movimento, che è di competenza esclusiva dello Stato e delle sue leggi. 

Pensiamo a un naufrago con la peste bubbonica: è lo Stato, e non le norme internazionali, a decidere se vada o no messo in quarantena. In ogni caso, il trattenere i migranti a bordo della nave è stata una decisione politica: discutibile fin che si vuole, sul piano umano, etico, e religioso, ma sempre politica. Come del resto ammette lo stesso Tribunale, affermando che «qui il sindacato deve necessariamente fermarsi costituendo tale materia prerogativa esclusiva della Camera di appartenenza del ministro» .

E qui arriviamo al secondo punto. L’autorizzazione a procedere per il reato ministeriale non riguarda quello che una volta si chiamava il “fumus persecutionis”, cioè la valutazione se il magistrato agisca in odio al parlamentare o comunque per pregiudicarne l’attività. Riguarda, secondo l’articolo 9 della Legge Costituzionale la «valutazione insindacabile che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio di governo». La Costituzione, in pratica, riconosce che il comportamento di un ministro, ancorché costituente reato, possa non esser perseguito quando è stato commesso per proteggere un bene ritenuto superiore, e che questa valutazione sia squisitamente politica.
Qual è dunque la conseguenza della richiesta del Tribunale dei Ministri alla luce della disposizione costituzionale? Che dell’intera vicenda sarà investito il Senato, che dovrà dare un giudizio tutto politico; cioè dovrà dire, a maggioranza assoluta, se Salvini ha fatto bene o male a impedire lo sbarco dalla “Diciotti”. 

Ecco perché la vicenda va ben oltre l’aspetto giudiziario. Perché qui non si tratta più dell’annosa polemica se le toghe rosse o nere pretendano di interferire con la politica, e se mirino o meno a delegittimare questo o quel ministro. Anzi, a leggere attentamente il provvedimento, il Tribunale delinea rispettosamente i confini di competenza della Giurisdizione del Parlamento. E non sarà più il ministro a dover spiegare le ragioni della sua decisione in seno a un governo dove qualcuno ha vissuto questo iter con una certa esitazione, se non addirittura con disappunto. Ma sarà proprio un ramo del Parlamento, nella pienezza della sua autonomia e della sua responsabilità a decidere se Salvini abbia o no deciso nel supremo interesse dello Stato. 

Possiamo immaginare le conseguenze. In un argomento come l’immigrazione, è assai improbabile che i pentastellati lascino libertà di voto secondo coscienza, come se si trattasse di un tema etico o ambientale. D’altro canto il centrodestra, che già è sembrato pronunciarsi sul tema, probabilmente sosterrà il ministro. A questo punto o i grillini votano contro l’autorizzazione, e la posizione intransigente di Salvini viene avallata per il passato e rinforzata per il futuro; oppure votano a favore, e allora cadono il contratto, il governo e probabilmente la legislatura. In ogni caso il dibattito al Senato si dovrà svolgere entro sessanta giorni, e quindi in pieno clima elettorale, incendiando gli animi che già scoppiettano sotto le braci. Valeva la pena di arrivare a tanto? Mah. Fiat iustitia, pereat mundus.
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