Il franco africano non genera migranti ma frena lo sviluppo di quelle economie

Il franco africano non genera migranti ma frena lo sviluppo di quelle economie
di Roberta Amoruso
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Martedì 22 Gennaio 2019, 08:34 - Ultimo aggiornamento: 18:22
Non c'è dubbio che nel tempo il dossier del franco Fca, la valuta speciale legata all'euro utilizzata dalle ex colonie francesi e istituita alla fine della Seconda guerra mondiale, troverà un suo riassetto. Lo dice il dibattito acceso che da anni anima gli economisti africani, e non solo africani. Certamente la stretta dipendenza dalla Banca centrale francese, che ha pieno potere sulla convertibilità del franco Cfa (garantita da Parigi) e detta legge quindi nella politica monetaria, deve essere uno spunto di riflessione. Perché l'egemonia di Parigi non è certo una cura per la povertà del continente africano. Anzi.

LE BUFALE SULLA TASSA
Ma se da una parte ci sono comunque dei dubbi sul fatto che questo sia la causa di molti mali delle ex colonie francesi, è una certezza che le riserve di questi Stati depositate presso la Banca di Francia (in precedenza il 65% poi ridotto al 50%) non potrebbero mai e in nessun caso andare a ridurre il debito francese, come invece sostiene il vicepremier del Consiglio italiano Luigi Di Maio. Gli oltre 10 miliardi depositati negli anni - in cambio della garanzia di convertibilità - presso la Banca centrale francese, non potranno mai arrivare nelle casse del Tesoro di Parigi.

In realtà, non ci vogliono grandi economisti o grandi riflessioni per sciogliere ogni dubbio, bastano i numeri a dire che non c'è correlazione diretta tra il dramma dell'emigrazione africana e il capitolo del franco Fca, come sostiene l'altro leader Cinquestelle, Alessandro Di Battista. In tutto il 2018, le persone arrivate in Italia da Paesi che adottano questa moneta sono state poco più di 2.000 sulle oltre 23.000 totali. Dunque, un rapporto di 1 a 10 non può essere una prova di quella «destabilizzazione dei Paesi africani» evocata dai due leader M5s. Il che porta ad escludere che sia colpa della moneta comune alle ex colonie francesi se in tanti partono per l'Europa. Non solo. Nell'elenco dei Paesi da cui sono arrivati i migranti in Italia, secondo i dati 2018 del ministero dell'Interno il primo Paese che adotta il franco Cfa è la Costa D'Avorio, ottavo nell'elenco di quelli da cui sono arrivate 1.064 su 23.370.

Semmai, il punto è un altro. È vero che la maggior parte dei Paesi africani che utilizzano il franco Cfa hanno di fatto scelto di farlo e possono tornare indietro. Ma dovrebbero farlo comunque da una posizione di debolezza. Di fatto l'economia di quei Paesi, mai decollata veramente, è legata a doppio filo alle scelte della Banca centrale di Francia. In principio il franco Fca aveva parità con il franco francese, poi è stato agganciato all'euro a un tasso fisso. E l'asse tra il Tesoro di Parigi e la Banca centrale ne garantiscono la convertibilità, in cambio appunto del 50% delle riserve in valuta di ciascun Paese aderente.

È proprio qui il controllo indiretto della Francia (che nel 1994 ne ha deciso la svalutazione del 50%). È un forte paletto allo sviluppo. E oltre ad avvantaggiare le classi agiate africane, che più facilmente possono importare dalla Francia beni lusso in cambio di denari di dubbia provenienza, è nei fatti un vantaggio anche per le multinazionali francesi che hanno gioco facile a investire in quei Paesi senza temere improvvise svalutazioni. Dietro il controllo della convertibilità c'è il bengodi delle materie prime africane e il paradiso delle importazioni francesi. Così l'inflazione rimane bassa, la crescita al palo e l'agricoltura altrettanto.
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