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di Luca Cifoni

Perché il problema del reddito di cittadinanza non è il divano

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Sabato 19 Gennaio 2019, 19:37
Nel presentare con entusiasmo il reddito di cittadinanza appena approvato dal governo, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha illustrato anche le norme cosiddette "anti-divano", quelle cioè che dovrebbero impedire ai potenziali beneficiari di approfittare del sussidio passando il tempo senza fare nulla. La cosa interessante è che l'immagine del divano era stata evocata originariamente da Matteo Renzi ed altri avversari del M5S: Di Maio l'ha fatta propria pur se in chiave difensiva, avallando comunque quest'idea con tutti i suoi sottintesi.

Naturalmente in astratto il rischio che un sussidio di questo tipo scoraggi il lavoro (o incoraggi quello nero) esiste. Ma una critica incentrata solo sull'idea del divano e quindi dei poveri potenziali furbi e fannulloni, oltre a essere controproducente sul piano politico, è anche abbastanza fuori fuoco. E dimostra per di più come anche in questo caso il "dibattito" (tra virgolette) fatichi a uscire dal solco superficiale e propagandistico una volta che vi si è incanalato.

I problemi di fondo del reddito di cittadinanza, che come ormai si è capito viene chiamato così impropriamente, vengono prima. Ad esempio, è stato progettato per essere allo stesso tempo uno strumento di contrasto alla povertà e una politica attiva per il lavoro. L'obiettivo quindi è estremamente ambizioso anche rispetto ai modelli internazionali esistenti. La disoccupazione è certo una causa rilevante di povertà, ma anche chi un lavoro ce l'ha può trovarsi in situazione di profondo bisogno. Insomma un intervento di carattere universale andrebbe calibrato con estrema attenzione e probabilmente sperimentato in modo progressivo, cosa che a quanto pare non succederà.

Un altro nodo è dato dalla complessità delle procedure previste, che in parte deriva proprio dall'esigenza di evitare abusi e per questa via limitare la spesa. I soggetti coinvolti sono Inps, centri per l'impiego, Comuni, Caf, Poste. Non sembra esista (o per lo meno non è stata resa nota) una valutazione ex ante della fattibilità di tutti i passaggi. E qui, più che su un divano, rischia di arenarsi il reddito di cittadinanza.
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