Oscar Giannino

Battaglie sbagliate/ Caso trivelle il patriottismo che manca ai signor No

Battaglie sbagliate/ Caso trivelle il patriottismo che manca ai signor No
di Oscar Giannino
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Martedì 8 Gennaio 2019, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:58
Avvampa la polemica sulle autorizzazioni alle esplorazioni marine di fonti energetiche. Ma a spararsi vicendevolmente sono le diverse componenti che nel 2016 promossero il referendum contro le concessioni per l’esplorazione e la coltivazione di giacimenti di gas e petrolio nel nostro Paese. 

L’asprezza delle accuse che i movimenti No Triv e il presidente della Puglia Michele Emiliano riservano ai Cinque Stelle, e le repliche sprezzanti pentastellate, indica quanto profonde fossero e siano le contraddizioni di chi nel nostro Paese si batte per impedire ogni produzione energetica, ogni lavorazione industriale e ogni infrastruttura di trasporto e distribuzione di petrolio e gas. Ilva, Tap e concessioni marittime energetiche ricadono per questo nello stesso veto: dimenticando disinvoltamente che oltre il 70% del fabbisogno energetico italiano viene da fonti fossili, e che intorno al 90% di esse le importiamo per un deficit commerciale intorno ai 30 miliardi di euro annui. 

Ma la contraddizione non è solo quella con la realtà rappresentata dalle cifre e dai bisogni dell’economia italiana. Il punto più rilevante politicamente è la lezione che la realtà sta impartendo ai 5Stelle, che sul no a queste opere avevano fatto decisa campagna referendaria prima, ed elettorale poi. Raccogliendo proprio su questa posizione molti consensi. 

Di Maio e i 5Stelle dicono ora che le autorizzazioni alle concessioni erano atto dovuto, poiché, decise come esse erano dai precedenti governi, il mancato via libera avrebbe configurato un reato per il dirigente del Mise che l’avesse negato. I movimenti No Triv insorgono, affermando che bastava un decreto legislativo a firma del ministro Di Maio per sospendere l’iter, e che di questo il ministro era così ben consapevole che essi stessi gli avevano consegnato nel luglio scorso una dettagliata proposta delle iniziative amministrative che bisogna assumere, in coerenza all’impegno preso con gli elettori. 

Ma anche senza entrare nel merito della valutazione procedurale, delle due l’una. O i 5Stelle sapevano benissimo che la mancata conferma dell’autorizzazione all’esplorazione configurava il diritto della società concessionaria di adire a ristori giudiziali, e allora dovevano evitare di promettere lo stop in campagna elettorale. Oppure, se proprio bisogna credere all’ipotesi che se ne siano resi conto solo una volta assunte le responsabilità di governo, è una plateale conferma di quel misto di inadeguatezza e velleitarismo che sembra affiorare sempre più spesso nei loro atti. 

Secondo: ristabiliamo ciò che dicono le norme, al di là delle polemiche politiche. Per via di quel caos improvvido che è il titolo V della Costituzione approvato nel 2001 sulle competenze concorrenti tra Stato e Regioni, quando si tratta di concessioni minerarie la Valutazione d’Impatto Ambientale prevede l’intervento e il parere delle Regioni, ma esso è consultivo. La Puglia disse no su queste concessioni, ma il suo no non è vincolante. E questo il presidente Emiliano lo sa benissimo, visto che è stato magistrato. 

Terzo: la spaccatura frontale nel campo No Triv dimostra ancora una volta, se e ne fosse bisogno, che quell’involto farraginoso di diritti di veto e competenze incrociate e sovrapposte, che è diventata la regolamentazione ambientale nel nostro Paese, non riesce a tutelare né le ragionevoli e giuste esigenze di tutela dell’ambiente e della sicurezza delle popolazioni, né quelle dello sviluppo economico. E’ solo buono a offrire continuo pretesto per strappi in una direzione o nell’altra, a ogni governo e anzi a ogni diversa elezione a qualunque livello. E’ questa la ragione per cui in primis l’ENI ha abbandonato nei decenni la prospettiva di coltivare essa per prima i grandi giacimenti di gas che si ha fondato motivo di ritenere esistano nei nostri mari. Ed è per questa stessa ragione che primarie compagnie energetiche mondiali come la Shell hanno preso nel tempo in considerazione l’idea di farsi avanti, per poi recedere in assenza di ogni certezza di medio-lungo periodo, di fronte agli ingenti investimenti che sono necessari. 

Quarto: ma che sovranismo è poi mai questo? Il paradosso nel paradosso è che proprio coloro che si dicono nazional-sovranisti, in campo energetico finiscano per lavorare invece al servizio dei Paesi – Russia, Algeria, Iran, Arabia Saudita – a cui paghiamo ogni anno decine di miliardi per la nostra dipendenza da ciò che da loro importiamo, e senza di cui ‘Italia si fermerebbe. E si fermerebbe malgrado per tanti anni abbiamo speso 14-15 miliardi l’anno in incentivi alle rinnovabili: tanto che dall’inizio dell’incentivazione a oggi, pagata da noi tutti in bolletta elettrica, abbiamo già raggiunto due volte l’intero finanziamento storico della vecchia Cassa per il Mezzogiorno. Mentre al contrario dall’estrazione di quei 100 miliardi di euro di controvalore in petrolio e gas che si stima nei giacimenti italiani noi creeremmo non solo un moltiplicatore di crescita nazionale e per il Sud, ma espanderemmo ulteriormente anche in Italia investimenti e lavoro per quelle eccellenze tecnologiche che nell’ecografia marina, nella prospezione e nell’estrazione sono patrimonio riconosciuto in tutto il mondo delle nostre Eni e Snam. 

Di tutto questo non sembra esserci traccia, nelle accuse che si rivolgono No Triv e 5 Stelle. Se si pensa che l’anno prossimo uno dei più importanti atti da compere sarà l’approvazione del Piano Energia e Clima da presentare in Europa, in cui bisognerà compiere scelte sul mix e sulle infrastrutture energetiche per anni a venire, vengono i brividi alla schiena.
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