Lampi
di Riccardo De Palo

Matteo Strukul: «Ora vi racconto Michelangelo, genio eretico e ribelle»

Strukul in una foto di Marco Bergamaschi
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Domenica 6 Gennaio 2019, 15:58
«Il mio cognome, come quello di molti altri veneti, è di origine austro-ungarico; e il mio, in particolare è legato a un ufficiale originario della Transilvania; è stato naturale, a un certo punto, andare a visitare quelle terre. Stavo scrivendo un romanzo ambientato nella regione del conte Vlad, I cavalieri del Nord: scoprii un mondo meraviglioso e affascinante; al punto che, ogni anno, ci torno per qualche mese». Matteo Strukul è l'autore di una fortunata serie di romanzi sui Medici, ora di nuovo in libreria con "Inquisizione Michelangelo": l'avvincente ritratto di un grande artista al culmine della fama, tormentato dai committenti e braccato dagli inquisitori. Classe 1973, Strukul vive tra la sua Padova, Berlino - «una città straordinaria, che amo alla follia» - e la Transilvania, appunto. Lo scrittore, aria da bel tenebroso, come un cantante dei Metallica o dei Motorhead, è il promotore di un importante festival del romanzo storico, a Piove di Sacco; ritiene un privilegio poter raccontare la grande «eredità di storia, bellezza e cultura» dell'Italia.

In questo libro parla anche molto di Roma.
«È la città più bella del mondo (se la gioca, forse, con Venezia). E raccontarla con un personaggio come Michelangelo mi è parso un atto dovuto. Quando vieni tradotto in molte lingue, come me, hai la possibilità di portare la cultura italiana all'estero, di scoprire che in luoghi remoti come la Corea del Sud c'è amore e passione per il nostro Rinascimento. Non siamo solo il Paese della mafia e della camorra, per fortuna».

Come mai ha scelto Michelangelo?
«A parte un libro straordinario come Il tormento e l'estasi di Irving Stone, che tra l'altro era americano, non esistono molti romanzi su di lui. Era un genio immenso, un artista supremo, ma anche un grandissimo architetto: è lui che stabilisce e preserva la pianta a croce della Basilica di San Pietro, è lui a disegnare il primo progetto della Piazza del Campidoglio. Per certi versi era un supereroe alla Marvel».

Lei racconta, in effetti, un Michelangelo straordinario.
«Ho lavorato molto sul linguaggio, per rendere una sorta di narrazione biblica. Era un misto di Mosé, Sansone, Giosuè e Abramo; non poteva essere un patriarca perché non aveva figli, ma era una figura profetica, eroica, come Daniele che vince sui leoni. C'è questa scena nel libro, forse mai avvenuta ma verosimile: lui che passa la notte nelle Alpi Apuane, dopo avere scelto personalmente i blocchi di marmo da mandare a Roma, e affronta i lupi».

Lei ha scelto un periodo che è un po' il crepuscolo del Rinascimento.
«Siamo dopo il Sacco di Roma, tra il 1542 e il 1547: volevo raccontare, con una provocazione, sull'onda di storici dell'arte come Antonio Forcellino, il grande campione dell'arte cristiana in una chiave nuova, come un potenziale eretico».

Lui era vicino a Vittoria Colonna e alla setta degli Spirituali.
«L'amicizia con Vittoria Colonna è un'affinità elettiva, quasi (o forse no) un amore. A cavallo dei settant'anni (ricordiamo che Michelangelo arriverà a 89), Michelangelo comincia a fare i conti con i suoi demoni; di qui l'adesione a questo circolo di intellettuali guidato da Reginald Pole, cardinale inglese e legato pontificio al Concilio di Trento che cercava di conciliare la visione protestante e quella della controriforma. L'artista si avvicina in qualche modo a quel rapporto esclusivo uomo-Dio di cui parlava Lutero; e questo gli causa le attenzioni dell'inquisizione romana, istituita proprio nel 1542, anno in cui inizia il romanzo, da papa Paolo III».

Cosa rischiava Michelangelo?
«Non verrà mai processato, e neppure torturato o messo sotto torchio dall'Inquisizione, perché Buonarroti ormai ha una fama tale da essere, di fatto, un intoccabile. Non rischia la testa, ma intanto a tutti quei nudi del Giudizio universale vengono messi i mutandoni (fu opera di Daniele da Volterra, da allora soprannominato Braghettone, ndr); e poi c'è la tomba di Giulio II, che cela un indizio inquietante: Mosé non guarda di fronte a sé, e quindi l'altare, ma la luce. Si rivolge cioè direttamente a Dio. È come dire alla Chiesa cattolica: il tuo ruolo non è più quello di un tempo».

Nelle sue ricerche ha fatto qualche scoperta inedita?
«Sono stato nell'Archivio vaticano, ho consultato molti testi. La teoria non è nuova, esiste una corrente minoritaria ma molto autorevole, che sostiene questa visione ormai da qualche anno; soprattutto Antonio Forcellino, che ha personalmente restaurato la statua di Mosé. Una lettera che risulta vergata da Tommaso de' Cavalieri (nobile molto amato dal Buonarroti, ndr) testimonia che Michelangelo aveva ormai terminato la scultura quando decise di cambiare la postura della testa, miracolosamente, in soli due giorni. Il mio è un libro che offre qualcosa di nuovo, semmai, al pubblico dei romanzi».

E questo personaggio femminile, Malasorte?
«Lo amo molto. Ho immaginato una ragazzina ladra - Renato Zero la chiamerebbe oggi una sorcina - che entra in questa sorta di baby gang dell'epoca, sta per compiere un furto ma viene fermata da una cortigiana, che desidera averla con sé come sua protetta. Diventa una spia, entra a far parte di un gioco più grande di lei».

Quale autore ammira di più?
«Umberto Eco, Sebastiano Vassalli, ma anche la Bellonci di "Rinascimento Privato", il Patrick Süskind de "Il profumo", Tim Willocks (scrittore e psichiatra britannico, ndr); e poi i grandi classici: Alexandre Dumas, Shakespeare, Schiller, Goethe».

Il romanzo storico sta tornando di moda?
«Marco Malvaldi ha scritto un romanzo su Leonardo, Antonio Scurati su Mussolini; e il libro di Rosella Postorino, Le assaggiatrici, ha vinto il Campiello. Me lo dica lei».
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