Nir Kabaretti all'Opera: «Nel mio Lago, ogni ballerino è cigno a modo suo»

Il maestro Nir Kabaretti
di Simona Antonucci
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Sabato 5 Gennaio 2019, 20:05
«Ho cominciato per caso, una sostituzione al Real di Madrid, per dirigere L’uccello di fuoco, con le coreografie di Béjart. Poco dopo mi chiamò il Maggio fiorentino dove affrontai il mio primo balletto classico, Coppelia. Poi gli inviti dalla Scala, dal Teatro dell’Opera. E ora, mi capita, anche quando dirigo musica sinfonica, di vedere comunque le immagini dei danzatori che mi scorrono davanti agli occhi».

Nir Kabaretti, israeliano, 50 anni, direttore musicale della Santa Barbara Symphony, in California, impegnato con la Tokyo Philharmonic Orchestra, così come con l’Orquesta Filarmonica de Buenos Aires dall’altra parte del mondo, è anche uno dei maestri più richiesti dai corpi di ballo: «Forse perché a vent’anni, a Vienna, mentre mi diplomavo all’Università della Musica, presi anche lezioni di valzer», racconta, scherzando, prima di salire sul podio del Costanzi, dove fino a domenica 6 gennaio, è in scena Il Lago dei Cigni, con le coreografie di Benjamin Pech.

Il contatto con i ballerini che cosa regala alla sua esperienza sinfonica e lirica?
«È molto affascinante, e complicato, riuscire a creare armonia tra il movimento del corpo e della musica. Sbagliare un accento mentre un danzatore è ancora sospeso? Credo che non ci sia nulla di più grave. Quando dirigi una musica creata per essere ballata, non puoi non tener conto delle esigenze degli interpreti. Ci sono alcuni che ci mettono più tempo per sviluppare un développé, ogni pirouette è diversa dall’altra».

Più impegnativi i ballerini o i cantanti?

«Utilizzano strumenti diversi, ma le somiglianze sono infinite. Ci sono dei cantanti che hanno bisogno di più fiato, e quindi di più tempo per prendere una nota. O colorature della voce che gli consentono passaggi immediati. L’obiettivo si raggiunge insieme».

In questa versione del Lago dei Cigni ci sono stati dei tagli allo spartito. Quando il coreografo gliel’ha proposto, che cosa ha pensato?
«A nessuno verrebbe in mente di saltare dieci battute di Beethoven. Sarebbe come accorciare la Bibbia. Nel balletto è diverso. L’ho scoperto negli anni. Anche perché la musica per coreografie è nata anche un po’ così. Con versione riviste e corrette, spesso dagli stessi autori. È chiaro che non si elimina un passo a due o il brano dei cignetti. Ma ci sono tante di quelle riprese... In ogni caso, se non ci fossero i tagli, andremmo tutti a casa a mezzanotte».

Secondo lei è giusto reinterpretare il repertorio classico, quello della danza, così come quello lirico?
«Sono patrimoni che vanno studiati e vissuti con lo spirito dei loro tempi.
Nonostante io appoggi il movimento #MeToo non mi verrebbe mai in mente di modificare il Don Giovanni. Va ricercato e ricreato il messaggio di allora, ma non modificato». 
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