Marco Gervasoni

Il paradosso M5S/ L’amara scoperta della piazza contro

di Marco Gervasoni
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Venerdì 21 Dicembre 2018, 00:00
Come si comportano i movimenti di protesta quando si trovano a gestire proteste contro di loro? Una domanda accademica fino a qualche tempo fa, oggi molto meno: tutti abbiamo visto le bandiere dei 5 Stelle bruciate dagli Ncc. E non è la prima volta che il movimento di Grillo si trova a fronteggiare lo scontento e la discesa in piazza di soggetti collettivi a cui aveva sempre promesso, se non tutto, molto. 

Basti pensare alle agitazioni contro il Tap in Puglia, all’imponente manifestazione torinese contro la Tav e, per quanto rivolto esclusivamente contro la giunta Raggi, al blocco dei pullman che ieri ha creato il caos nel centro della Capitale. Per spiegare questi fenomeni dobbiamo adottare uno sguardo più ravvicinato e uno più largo. Quello più ravvicinato riguarda i 5 Stelle in particolare: che da quando esistono, sono stati imprenditori della protesta, bravissimi nel canalizzare le richieste di interessi legittimi, molti dei quali falcidiati dalla Grande Recessione cominciata nel 2008 e dalla spesso suicide politiche adottate dai governi successivi. 

Il problema è che i 5 Stelle - in tandem con la Lega famosi per il motto: la piazza siamo noi - sono diventati forza di governo. E governare vuol dire scegliere, come ripeteva un celebre politico francese del secolo scorso, Pierre Mendès-France. Scegliere quali interessi favorire, a detrimento spesso di altri.

Non è possibile accontentare tutti, soprattutto poi se si compone, come i 5 Stelle, un governo di coalizione, che deve tenere in più conto dei vincoli di spesa di cui la Ue è guardiana. Naturalmente la via di uscita potrebbe consistere nel rompere questa gabbia: e non a caso tutti i movimenti di protesta nati in Europa dopo il 2008 si sono rivoltati contro il paradigma dell’Europa tedesca. Per ora, però, e aggiungiamo purtroppo, nessuno è riuscito ancora a scalfirlo. 

Se il M5S vorrà essere una forza di governo a lungo dovrà quindi abituarsi a dire no a molte categorie professionali che aveva più o meno allettato. Altre bandiere bruceranno, trasformarsi da movimento di piazza e di protesta in forza di governo sarà doloroso e darà luogo probabilmente a rotture anche clamorose. Diverso il discorso per la Lega, dotata di una base elettorale sociologicamente più definita: che magari mugugna, come gli imprenditori del nord, ma non sembra, sondaggi alla mano, intenzionata per ora ad abbandonarla elettoralmente, anche per carenza di un’offerta migliore.

Resta che con la manovra Salvini e la Lega non hanno voluto rinunciare alle loro bandiere e perciò anno dovuto accettare misure piuttosto lontane dal loro profilo per ottenere l’ok Ue. Illudersi che le proteste possano essere rivolte solo contro i 5 Stelle e non anche contro di loro, sarebbe ingenuo: anche perché il governo è, almeno formalmente, uno. Ma per capire ciò che sta accadendo dobbiamo adottare anche uno sguardo più ampio. I nostri occhi si sono puntati nelle settimane scorse su Parigi e sui gilet gialli, ma altre agitazioni riempiono le piazze di mezza Europa. Sono molto diverse tra loro, ma ovunque, nel Regno Unito, in Belgio, in Ungheria, in Austria, in Grecia, la contestazione del governo e del potere in carica assume tratti quasi insurrezionalistici. 


Ci sono almeno due ragioni che spiegano ciò. Una è il sempre più netto frantumarsi della legittimazione di chi governa: chi sta al potere è considerato sospetto e inaffidabile per natura, e tanto più si sarà creduto in lui tanto più feroce sarà la reazione. La seconda ragione sta nell’indebolirsi se non nella sparizione dei corpi intermedi, a cominciare dai sindacati e delle associazioni, che una volta organizzavano e al tempo stesso però regolavano la protesta. In Francia abbiamo visto la nuda moltitudine, di cui parlava Spinoza, rivendicare non solo qualche intervento economico, ma il potere, o almeno il diritto di rovesciare il governo.

Per certi aspetti è una situazione che ricorda l’Europa tra il 1848 e il 1870: quando, di fronte alla nuda moltitudine, il potere non poteva che reprimere lasciando sul selciato migliaia di morti. Il caso francese è il più estremo, per le ragioni che anche su queste colonne abbiamo indicato. Ma nulla garantisce che nel futuro non insorgano, improvvisi e violenti come una tempesta estiva, dei movimenti anche contro quelli arrivati al potere promettendo di ascoltare il popolo e di essergli vicino - e del resto, non era Macron un «populista di centro»? Come spesso accade nella storia, l’Italia è all’avanguardia. 

Dal modo in cui Lega ma soprattutto il Movimento 5 Stelle sapranno rispondere alle proteste, si misurerà la fondatezza e la solidità del loro progetto. Una sfida importante: perché se falliranno i cosiddetti populisti, è difficile che le folle, giustamente o meno inferocite, tornino a votare partiti mainstream. Più probabile che si formi un populismo ancora più…populista: un populismo senza volto umano. 
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