Alessandro Campi
Alessandro Campi

Ritorno al passato/Il tramonto del vecchio Pd e un diverso centrodestra

di Alessandro Campi
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Martedì 18 Dicembre 2018, 00:04
Massimo D’Alema per le prossime elezioni europee propone un “listone” per raggruppare sotto un’unica sigla le energie al momento disperse della sinistra. Sul versante opposto, Silvio Berlusconi auspica il ritorno del vecchio centrodestra, quello che lo vedeva alleato naturale della Lega e capo indiscusso del fronte moderato. Sulla politica italiana sembra soffiare il vento della nostalgia, indirizzata verso quella stagione felice (vista con gli occhi odierni) in cui a combattersi c’erano due soli schieramenti: conflittuali al loro interno ma sufficientemente omogenei e coesi.

Un paesaggio profondamente mutato a causa degli smottamenti politici nel frattempo verificatisi. Prima lo sfaldamento del fronte liberal-conservatore causato dalle disavventure politico-giudiziarie del Cavaliere, che come effetto indiretto ha prodotto l’esperimento non proprio esaltante dei tecnici al governo. Poi la spettacolare comparsa sulla scena, in veste di terzo incomodo, del populismo grillino. Da ultimo l’acuirsi dello scontro all’interno del Pd, dove alla diaspora elettoralmente fallimentare della sinistra s’è ora aggiunta la minaccia concreta di una scissione della destra renziana. 
Complice il ritorno ad una legge elettorale di stampo proporzionale, il rischio è quello di una crescente frammentazione/moltiplicazione degli attori politici, caratterizzi oltretutto da una forte polarizzazione ideologica. 

Uno scenario non solo italiano, ma comune ad altri Paesi europei: dall’Austria alla Francia, dalla Germania alla Spagna, l’alternativa tradizionale tra socialismo e popolarismo, tra sinistra riformista e destra cristiano-conservatrice, è stata ormai soppiantata da una competizione tra almeno quattro o cinque blocchi. 
<HS9>Per opporsi a questa deriva, che rischia di rendere sempre più ingovernabili le nostre democrazie e di acuire i conflitti sociali, l’idea che in Italia ha preso a circolare è che occorra tornare a formule d’alleanza già sperimentate, ovvero favorire nuove riaggregazioni tra aree politiche considerate contigue o affini. Ma la soluzione non è semplice come si immagina. Quello che funziona in teoria potrebbe non funzionare nella pratica, o magari produrre conseguenze diverse da quelle desiderate, tenuto conto di una realtà politico-sociale nel frattempo parecchio mutata.

<HS9>Prendiamo l’idea dalemiana di un ricompattamento politico-elettorale della sinistra. Nelle sue intenzioni, dovrebbe servire a un duplice scopo: ricucire lo strappo che ha portato all’inutile avventura di Liberi e Uguali e alla sconfitta elettorale del Pd; riagganciare l’elettorato progressista che ha votato per i grillini deluso dalla svolta moderato-riformista impressa ai democratici da Matteo Renzi. Peccato solo che una simile operazione, che sa tanto d’ennesima manovra di consumate oligarchie e che punta a ristabilire l’egemonia sulla sinistra italiana della vecchia dirigenza di matrice tardo-comunista, implichi come conseguenza – nemmeno tanto involontaria – la fattuale scomparsa del Pd per come lo abbiamo conosciuto. 

Non solo, ma per riuscire una tale operazione presuppone un passaggio traumatico, che più che rafforzare la sinistra, ampliandone il bacino elettorale, potrebbe finire per frammentarla ulteriormente: la definitiva fuoriuscita dal Pd di Matteo Renzi. Sono settimane che si parla dell’intenzione di quest’ultimo, sinora sempre ufficialmente smentita, di mettersi in proprio: forse già prima delle Europee, forse subito dopo. Un Pd a guida sostanzialmente diessina, per di più destinato a snaturarsi all’interno di una coalizione socialdemocratica vecchio stampo, renderebbe ineluttabile la scelta scissionista di Renzi. Gli darebbe l’argomento decisivo, che al momento ancora gli manca, per creare quel contenitore politico liberal-riformista e modernizzatore che ha provato a costruire – senza fortuna, commettendo molti errori e scontando una dura opposizione interna – quando guidava il Pd. 

<HS9>Insomma, si vorrebbero rilanciare il campo progressista e il Pd, ma il rischio è di indebolire entrambi dando vita ad un eterogeneo rassemblement di sinistra (ivi comprese le sue componenti più radicali) che non si capisce quanto possa essere attraente vista la generalizzata crisi in Europa di quest’area politico-ideologica. 
E’ la stessa divaricazione tra intenzi0ni e risultati implicita nel disegno berlusconiano di ricostituzione del centrodestra, resa ai suoi occhi possibile dallo sfilacciamento in corso del gruppo parlamentare grillino. Anche in questo caso gli obiettivi appaiono sulla carta ragionevoli: ricomporre la diaspora che ha costretto molti storici elettori berlusconiani (passati nel frattempo alla Lega salviniana) ad una innaturale convivenza al governo con un partito agli occhi del Cavaliere inaffidabile e pericoloso quale il M5S. 

<HS9>Sennonché anche in questo caso viene da chiedersi quali siano gli effetti reali di un ipotetico ritorno ad un centrodestra unito. Il primo e più scontato è che Matteo Salvini ne sarebbe il capo indiscusso. Berlusconi è davvero disposto a rinunciare al proprio ruolo di leader pur di rivitalizzare quella storica sigla elettorale? Ma questo è ancora il meno. Il vero problema riguarda, più che la formula in sé, i contenuti della medesima. Il centrodestra berlusconiano era un blocco sociale e ideologico d’impronta liberal-moderata e con venature persino libertarie, privo di aspetti confessionali, ancorato alla famiglia del popolarismo e dunque d’ispirazione europeista, leale alla tradizione atlantica. La Lega che ormai attrae a sé, sondaggi alla mano, il grosso di quel blocco è tutt’altra cosa: un partito nazionalista (da federalista che era), statalista dal punto di vista della politica economica, sostenitore di una cultura politica e di una propaganda ossessivamente incentrate sui temi della sicurezza personale e della lotta all’immigrazione, anti-europeista e tendenzialmente anti-occidentale in politica estera, sostenitore di un tradizionalismo sociale che usa la religione quale instrumentum regni.

Se mai l’alleanza di centrodestra dovesse rinascere questa sarebbe la sua odierna tavola dei valori. Sono questi i contenuti che interessano Berlusconi o la sua è solo affezione per una formula di cui è stato l’inventore e il custode per un ventennio? 

<HS9>Dinnanzi ai cambiamenti che non si riesce a governare e a comprendere, la nostalgia per le soluzioni già collaudate è un sentimento comprensibile. Ma in politica il ritorno al passato non funziona quasi mai. Se l’Italia partitica di oggi non piace e preoccupa forse bisognerà inventarsi qualcosa di veramente inedito e innovativo. Con l’avvertenza di partire sempre dalla realtà (dunque dai bisogni reali dei cittadini) e di evitare le soluzioni astratte e puramente meccaniche.

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