Il Nobel Nadia Murad: «Mio nipote combatte per l'Isis e ha detto che mi ucciderà»

Nadia Murad
3 Minuti di Lettura
Domenica 16 Dicembre 2018, 18:33 - Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre, 16:53

Lei ridotta ad una schiava sessuale, il nipote di soli 11 anni sottoposto ad un lavaggio del cervello e trasformato in un jihadista che è arrivato a minacciarla di morte. Nuovi aspetti degli orrori subiti dagli yazidi ad opera dell'Isis sono stati rivelati oggi da Nadia Murad, insignita del Premio Nobel 2018 per la sua campagna in difesa delle migliaia di donne della sua comunità sequestrate dai miliziani dello Stato islamico in Iraq. 

Nobel per la Pace a Nadia Murad, vittima dell'Is e Denis Mukwege, ginecologo congolese

Parlando al Forum di Doha, Nadia ha denunciato non solo i jihadisti che nell'estate del 2014 portarono la morte e la distruzione nella regione di Sinjar, dove viveva, ma anche i governi che prima di allora discriminavano la sua gente e la comunità internazionale che ancora non ha fatto abbastanza per punire i colpevoli delle violenze. Per arrivare infine a puntare il dito contro la mentalità tradizionale del suo stesso mondo, in cui è ben difficile per una donna parlare di uno stupro subito per paura di essere emarginata.

Nada, insignita del Premio Nobel con il ginecologo congolese Denis Mukwege per la loro lotta contro la violenza sessuale come arma da guerra, ha voluto oggi mettere in evidenza gli aspetti più inquietanti degli orrori vissuti dagli yazidi. Comprese le complicità di alcuni vicini di casa con i jihadisti per ragioni d'interesse. O il veleno dell'ideologia fondamentalista che arriva a contaminare anche alcuni dei parenti più stretti. Come accaduto appunto al nipote. «Aveva solo 11 anni - ha ricordato la giovane ex prigioniera - quando è stato sequestrato dai miliziani. Lo hanno separato dai genitori e lo hanno trasformato in un combattente dell'Isis. Ho cercato di contattarlo, ma mi ha risposto che lui era sul giusto cammino, e mi ha minacciato di morte se avessi continuato a cercarlo».

«Dobbiamo combattere la mentalità dell'odio», afferma Nada, a proposito delle ferite lasciate dall'occupazione dell'Isis in una comunità oggi divisa in gruppi armati contrapposti e con tanti civili ancora nei campi sfollati. Intanto di 3.000 donne yazide rapite e dei loro bambini ancora non si sa nulla. Per loro Murad, che oggi ha 25 anni, continua a far sentire la sua voce. Nei giorni scorsi è stata anche a Baghdad, dove ha incontrato il presidente Barham Salih e il primo ministro Adil Abdul-Mahdi, prima di recarsi in visita nella regione curda. Dopo essere fuggita ai suoi carcerieri, Nada è riparata in Germania, ma ora sogna di tornare a vivere nel Sinjar: «Vorrei aprire un salone di bellezza - dice - per aiutare le donne yazide». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA