Papa Francesco, i romani e il loro giornale: storia di un’identità

Papa Francesco, i romani e il loro giornale: storia di un’identità
di Mario Ajello
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Domenica 9 Dicembre 2018, 00:35
Nel sabato del villaggio romano, Francesco e il Messaggero diventano il centro di tutto. Il Pontefice che viene «dalla fine del mondo», e che ama uscire dai suoi palazzi per andare a cercare domande e risposte ovunque le possa trovare in questa città, adesso è qui, nella redazione di via del Tritone, e una marea di romani e di turisti fanno da cornice al suo passaggio e al suo ingresso. C’è chi prega, c’è chi urla «evviva il Papa» e chi - una signora non ancora anziana - propone la definizione giusta: «Francesco è il cronista di Dio». 

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Questo tra il pontefice e il giornale romano è un incontro tra due storie, un connubio tra due identità sul palcoscenico grandioso della Capitale. E non si tratta di un miracolo ma di qualcosa di naturale. Così viene percepito dalla folla che a suo modo, essendoci, guardando, emozionandosi, vuole partecipare e ci riesce. 

Quando lui è dentro, qualcuno grida: «Francesco, affacciati alla finestra». Tanti vorrebbero entrare ma non si può. Moltissimi lo aspettano all’uscita. Ed è un reciproco rispecchiarsi, un vicendevole «famo a fidasse» - come si dice quaggiù - tra i cittadini, il loro giornale, il loro Pontefice. Una trinità, verrebbe da dire, se la sobrietà laica non spingesse a evitare paroloni. Qualcuno rivolto a Francesco grida: «Daje!». Ed è un incitamento che vale anche per Roma, per i romani e per il quotidiano che li racconta e che li rappresenta. 

Bergoglio è il Papa che unisce, che sa mettere in comunicazione mondi tra di loro lontani e religioni diverse, ma è anche il personaggio della prossimità. Capace di connettere chi vive nello stesso universo quotidiano ed è consapevole di un comune destino. Perciò appare uno di noi quando passa a bordo della sua utilitaria nelle strade che portano a via del Tritone, e in questo “noi” ci sono i cronisti che egli è venuto trovare. Bergoglio si sente orgogliosamente uomo delle periferie, crede che la storia nelle periferie del mondo abbia il suo vero motore e da lì - dove le sofferenze sono maggiori e le diseguaglianze possono generare rabbia o rifiuto - partano i cambiamenti veri. Ma la realtà e il racconto della realtà, che avvengono dappertutto, hanno a Roma un luogo di sintesi e di riflessione critica in questo edificio al centro della città. In questo bastione di laicità aperta - com’è aperta la cristianità di Francesco - che è il Messaggero. «Domani come uscite? Come la raccontate questa giornata storica?», chiede una coppia di ragazzi davanti all’ingresso del giornale. E un altro giovane, lì accanto: «Il Papa vi viene a portare le notizie personalmente?». 

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L’APPROCCIO
Francesco vive Roma, e si è visto anche ieri nel suo omaggio al giornale che ne è l’anima, come fosse una città normale ma lui è il primo a sapere che così non è. Ha cominciato ad amarla piano piano («La Cappella Sistina l’ho vista per la prima volta solo nel Conclave del 2005», disse quattro anni fa), ora si sente sempre di più romano e ha verso questa città l’approccio che applica nel resto del mondo: «La Chiesa deve uscire nelle strade, cercare la gente, andare nelle case, visitare le famiglie. Non essere una Chiesa che riceve soltanto, ma che offre». 

Questo lo spirito che ha spinto Francesco nelle stanze del Messaggero. A vedere le persone, i luoghi e i ferri del nostro mestiere. E questo è il segno della profonda fiducia che egli ha nell’informazione, in un’epoca per tutti difficile da decifrare e dove imperversano depistaggi e fake news. Lui considera Roma un insieme di città invisibili e, come cercano di fare più modestamente i giornalisti, si sforza di disseppellirle, senza mai cedere ai luoghi comuni su un fantomatico destino di irreversibile decadenza dell’Urbe. La sua non è la Capitale delle apparenze e perciò - nel tragitto tra Piazza di Spagna dove ha celebrato l’Immacolata e via del Tritone - in tanti lo hanno incitato nella sua missione. 

Il problema di Roma capitale potrebbe coincidere con quello di un rinnovamento o palingenesi della Chiesa. Ma evitiamo di volare troppo alto (o di cadere nel profondismo) ed è meglio soffermarsi, come proprio Francesco ieri ha suggerito, sui fatti. Il Papa curioso è venuto nel centro delle curiosità. Non come se stesse facendo una visita pastorale, ma come se fosse arrivato a portarci un pezzo di mondo, quello che lui incarna, quello che in lui si riconosce, e a dirci: oggi guardiamoci da vicino, ma poi non perdiamoci di vista. 
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