Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

Joe R. Lansdale: «Fiero di essere un fenomeno pop»

Joe R. Lansdale
di Riccardo De Palo
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Mercoledì 5 Dicembre 2018, 15:34
Lo «Stephen King del Texas orientale», Joe R. Lansdale, autore della celebre serie di gialli della serie Hap & Leonard, è orgoglioso di essere uno scrittore di culto, capace di spaziare dal pulp al noir, alla fantascienza, ma anche di essere sempre controcorrente: «È vero, certi intellettuali mi criticano; ma è perché sono di corte vedute, e hanno il loro orticello da proteggere». A Roma per Più libri più liberi, la rassegna della piccola e media editoria, sarà intervistato alla Nuvola dell'Eur dal traduttore Luca Briasco, il 6 dicembre, per l'evento Non è un'America per tutti; il 9 (stessa cornice) presenterà il libro Joe R. Lansdale - In fondo è una palude, appena edito da Perrone: una lunga conversazione con Seba Pezzani che svela i segreti di un fenomeno.

Prima di diventare famoso, ha fatto molti lavori per mantenersi. È vero che a un certo punto è diventato un fiorista ambulante?
«Oh, è stato per un breve periodo. Vendevo fiori alla gente agli angoli delle strade, come tanti altri, nella città di Austin. Era un lavoro duro e noioso, ma utile per mettersi dei soldi in tasca».

Com'era suo padre? È vero che era una specie di mito, per lei?
«Aveva i suoi difetti, come tutti noi. A parole, era razzista, al punto da disturbarmi profondamente; ma era onesto, gentile, coraggioso, perseverante: ogni cosa che avresti desiderato in una persona. Sì, era razzista, ma trattava tutti allo stesso modo. C'era un contrasto, tra le sue parole e le sue azioni. Io lo ammiravo per quello che faceva. Puoi dire qualsiasi cosa, ma conta quello che fai».

In Il sorriso di Jackrabbit lei descrive un ambiente in cui il razzismo torna prepotentemente alla ribalta. È una emergenza reale, nel suo Texas e in America?
«Sì, il razzismo è in crescita, spesso in modo silente; però si tratta soprattutto di paura del cambiamento. Non è solo un fenomeno americano, ma globale. La società si è sempre trasformata, come si trasforma quella del Texas; le radici, invece, restano al loro posto».

Cosa pensa del muro che Trump vuole costruire al confine con il Messico?
«Capisco le esigenze di sicurezza alla frontiera, ma tante persone vengono in America alla ricerca di lavoro, di speranza, e stiamo attraversando una fase (anche questa globale) di me first, prima noi. Io non amo ciecamente nessuno dei due partiti, ma i repubblicani stanno alimentando la paura per rimanere al potere. Curiosamente, molta gente ha votato contro di loro. Soltanto il modo in cui sono strutturati i collegi elettorali ha potuto salvarli. Se questo stato di cose dovesse cambiare - come i limiti al mandato e i fiumi di denaro che finiscono a finanziare la politica - i repubblicani avrebbero difficoltà a vincere. Per ora il sistema sembra disegnato per favorire gli hater di destra».

È vero che sono stati i fumetti a spingerla a scrivere?
«Certo, sono stati loro a introdurmi alla narrativa. Ricordo degli albi chiamati Classics Illustrated, meravigliosi adattamenti di romanzi e novelle di grandi scrittori, come Edgar Allan Poe. Da quelli, fui spinto a leggere gli originali. Ma anche i fumetti di supereroi avevano colore, azione, avventura, mescolanze di generi: hanno creato le fondamenta del mio stile, mi hanno profondamente influenzato».

E così, oggi è diventato un vero fenomeno pop.
«Certo e ne sono fiero; ma sono anche un fan di tanti autori considerati letterari: mi piace prendere il meglio di ogni cosa. Il problema, con la letteratura di genere, è che viene sempre giudicata a partire dai suoi esempi peggiori; ma è anche vero che ha ormai invaso la letteratura alta. Amo poter essere libero di scrivere soltanto ciò che voglio».

Lo fa veramente?
«Molti dei miei libri sono mainstream, anche se non in maniera dichiarata, e quindi posso fare breccia sui lettori anche in un modo più convenzionale. Alcuni miei lavori hanno avuto un impatto sulla gente notevole, e questo non sarebbe stato possibile se mi fossi isolato come un qualsiasi intellettuale. Certo, ho le mie opinioni, ma posso confrontarmi su temi sociali o politici, su esperienze comuni; e posso farlo grazie alla letteratura di genere, che è più vicina alla vera arte di raccontare storie, rispetto a quella di chi resta a guardare il proprio ombelico».

In In fondo è una palude lei racconta di avere amato i film di John Ford alla stessa maniera dei libri di Dickens o Stevenson. Ma chi l'ha influenzata di più?
«Edgar Rice Burroughs è un autore piuttosto datato oggi, ma è stato quello che più ho amato quando ero giovane. Credo di portare con me, ovunque io vada, il suo senso di meraviglia e di amore per l'arte di raccontare, la sua visione mitica dell'universo».

E Stephen King? Molti la comparano a lui.
«Non mi piace essere costantemente paragonato a qualcuno. Sono Joe R. Lansdale, nel bene e nel male. Ma Stephen è un grande. Credo sia stato lui a farmi vedere la letteratura di genere in modo più ampio».
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