Mario Ajello
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Film targato Vanzina/Il Natale a 5 stelle farsa sul Paese che non cambia

Film targato Vanzina/Il Natale a 5 stelle farsa sul Paese che non cambia
di Mario Ajello
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Mercoledì 5 Dicembre 2018, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 01:35
Cambiamento? Macché! Il potere giallo-verde è una pochade, nelle sapienti mani dei Vanzina. Carlo ha scritto con Enrico la sceneggiatura ma poi purtroppo è morto, mentre è di Marco Risi la regia di “Natale a 5 stelle”, il film che sta per uscire su Netflix. 

Ma stavolta non nelle sale. Una commedia degli equivoci e degli inganni, tra falso moralismo (ostriche & champagne soltanto di nascosto) e incompetenza spacciata per novità. I purissimi e i nuovissimi del Palazzo felpa-stellato, bugiardi e felloni, malati di sondaggi e fissati con le donne, sono personaggi da cinepanettone ma questo non è un cinepanettone. Si tratta invece di una farsa leggera e spietata sui potenti di oggi che nei trucchi e nelle debolezze somigliano, perfino in peggio, a quelli di sempre, nell’infinita decadenza italiana. E’ la politica in generale che non esce bene da questo racconto allegro e straripante di ritmo e gag. 

E che ridere quando il simil premier Conte, ma con baffetti alla Clark Gable de’ noantri e di professione commercialista e non avvocato, romanissimo e non pugliese - voglioso solo di finire a letto con Giulia Rossi, bella deputata del Pd con cadenza toscana (la Boschi?) insieme alla quale stringere sotto le lenzuola un Patto del Nazareno giallo-rosso - risponde al telefono a Salvini: “Matteo? Ah, c’è maretta con Luigi? Vabbè, lo calmo io”. E il suo segretario-portaborse, il Bianchini da Guidonia (Ricky Memphis) ex comunista diventato mezzo grillino e mezzo lumbard eletto con soli 127 voti digitali, scafato ma pure disgustato: “Che manicomio ‘sto governo!”. In cui il presidente cialtrone - Franco Rispoli, cioè Massimo Ghini - non fa che dirsi “cittadino” e il cui unico sforzo, oltre al rimorchio, è quello di fare il piacione agli occhi della “ggente”. 

Allora quelli di prima erano migliori di questi qua? No, per esempio Renzi è definito un “contaballe”. Il rischio naturalmente è quello di cadere nel qualunquismo. Ma la forza comica lo supera. E se manca nel cast una figura riconducibile al Dibba, è forse perché il Dibba fa l’attore già di suo tra il Belpaese e la Pampa. Ecco invece il narciso presidente che non fa che ripetere a se stesso e a tutti gli altri in un multiplo brivido: “Quanto mi piace fare il premier, quanto mi piace, quanto mi piace....”. 
Il re è nudo e il cambiamento può attendere, insomma. Ma prima di denudarsi davvero, insieme alla Rossi (ossia Martina Stella) che s’è formata politicamente come concorrente dell’Isola dei famosi, arriva il marito salvinista di lei e il presidente non si dà pace: “Ma non stava a Tolfa, alla festa del popolo padano?”. E quando quello s’arrabbia, viene rintuzzato così: “Ma lei è leghista e si comporta come un geloso siciliano? Se lo sa Giorgetti la sgrida...”. 
La politica da Natale a 5 stelle è quella che, non solo in giallo-verde, ha perso senso e dignità. Non ci sono più partiti, né culture, né interessi sociali, né radicamenti, né ideologie o almeno speranze: la parodia s’è mangiata tutto.

Anche i nuovi ismi. Per cui il sovranismo non è altro che la suoneria del cellulare del premier con l’Inno di Mameli. E il populismo è allisciarsi le masse così: “Con il telefonino di Palazzo Chigi faccio solo chiamate di lavoro, eh”. Quelle private con i soldi pubblici le fa solo la Casta e la Casta sono sempre gli altri, anche quando non è così. 
Il governo del cambiamento si regge sul mai dire la verità, sennò si va a casa ed è finita la pacchia. E sul fingersi diversi, finché il gioco regge e il raggiro non viene scoperto. Ma quello di Vanzina e Risi non è un pamphlet cinematografico e tantomeno i due vogliono moraleggiare sulle macchiette del potere, ma soltanto giocare con la loro comica inconsistenza. Del tipo, quando arriva il conto salato dell’albergo in cui si svolge tutto e che aveva ospitato anche il presidente francese: “Ma gli extra glieli avete fatti paga’ pure a Macron?”. 

E’ tutta una guazza, è tutta una bolla, è un ciclone pieno di nulla se non di amorazzi incompiuti come tutto il resto (dalla Tav al reddito di cittadinanza) questa Italia a 5 stelle tra reality e Feydeau. In cui la disistima di sé e degli altri è l’unico collante politico-antropologico, insieme all’io speriamo che me la cavo. E perciò la sceneggiatura e la regia in fondo guardano con pietas, in una severa commiserazione dell’effimero, questi sbruffoni, questi nuovi mostri che si dimenano, abbarbicati al potere come illusione di felicità.
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