Un atteggiamento del tutto sbagliato, anche da un punto di vista metodologico. Quanto al merito, la decisione di lasciar dibattere il parlamento ci sembra saggia: ma dopo la discussione, ci auguriamo che l’Italia non aderisca al Global compact.
Fendendo la nebbia del solito burocratese Onu, e sfidando la noia, alla lettura del lungo documento, sono tanti i punti che non ci convincono, ma tre ci paiono i più gravidi di conseguenze. Primo, il Compact tende a parificare, in termini di diritti, i rifugiati con i migranti economici. Secondo, l’accordo ventila una sorta di diritto all’emigrazione. Terzo, essa vi è descritta come una ricchezza e un’opportunità. Quando è evidente che, se ognuno ha diritto ad emigrare, un paese non ha però alcun dovere di accogliere. Così come la parificazione migranti economici-rifugiati farebbe saltare in aria qualsiasi tipo di gestione razionale dei flussi. Che l’emigrazione sia una ricchezza è poi perlomeno discutibile: non lo è certo per i paesi di partenza, che si vedono privati delle loro forze, e lo è solo in parte, ed esclusivamente in termini economici, per quelli che accolgono gli immigrati. V’è però chi sostiene che il Global Compact non produrrebbe conseguenze sul piano dell’ordinamento interno.
Ma allora perché il premier australiano ha motivato il no all’accordo dicendo «non intendo cedere a corpi non elettivi il potere di dettare le leggi al popolo australiano»? Qualche effetto, perciò, il global compact deve averlo. Un documento che, come tutti quelli che vogliono avere portata «globale» finiscono per cadere nell’universalismo astratto: e per proporre soluzioni erga omnes laddove ogni paese deve affrontare i problemi della immigrazione in particolare secondo le proprie esigenze.
O forse sono tutti razzisti i governi di Stati Uniti, Israele, Svizzera e, appunto Australia, che non hanno firmato il Global Compact? Certo, intendono aderirvi tutti i paesi Ue, tranne quelli di Visegrad, l’Austria e la Bulgaria. Ma, visto che, a cominciare da Francia e Germania, i partner europei ci hanno lasciati nelle peste a gestire il flusso dell’immigrazione, bisognerà pensarci bene prima di presupporre una solidarietà europea, che è come l’Araba Fenice. E veniamo infine al rovello politico. La maggioranza fatica di nuovo a trovare, come si dice in politichese, la «sintesi». E il problema ancora una volta sta in casa 5S. Mentre la Lega è compatta, appoggiata da Fratelli d’Italia e da berlusconiani, per il no, i 5 stelle sembrano divisi, tra chi ritiene che il documento Onu vada firmato e chi invece infila la testa sotto la sabbia. Un atteggiamento peraltro in contraddizione con il recente voto sul decreto sicurezza, che distingue in maniera precisa immigrati economici da rifugiati. Non è la prima volta che sul tema dirimente dell’immigrazione i 5 stelle si dimostrano confusi ed evanescenti: questa potrebbe essere l’occasione buona perché essi si chiariscono, su chi e cosa vorranno essere da grandi.
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