No alle classi miste, famiglia musulmana: «Nostra figlia non seguirà educazione fisica»

Classi miste in palestra; la ricetta non piace alle famiglie islamiche
di Marco Agrusti
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Martedì 27 Novembre 2018, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 11:10
«Mia figlia non seguirà le ore di educazione fisica». Una “sentenza” che non potrà essere rispettata, perché le famiglie non hanno la facoltà di scegliere a quali lezioni (peraltro obbligatorie) far partecipare i propri figli, ma che farà discutere.  La storia arriva da una scuola di Pordenone: protagonisti un padre e una madre di una ragazzina di religione musulmana e origini magrebine. Alla base del tentativo - fallito - di esonerare l’alunna dalle lezioni di ginnastica non c’era un problema fisico o un’indisposizione, ma il fatto che i genitori musulmani non volevano la presenza degli studenti maschi.
 
La preoccupazione nasceva da un problema che si fa fatica ad inquadrare come tale, almeno utilizzando le categorie ormai radicate in un paese occidentale: la palestra della scuola, infatti, è frequentata da classi miste, formate da ragazzi e ragazze che seguono l’ora di educazione fisica assieme. Niente di più normale, ma per la coppia di genitori dalle vedute particolarmente strette, la promiscuità di un ambiente misto nel quale si praticano sport e attività fisica non andava bene. Il problema era proprio la presenza contemporanea di ragazzi e ragazze nello stesso ambiente: un dettaglio apparentemente tollerabile in classe, ma non in palestra, dove la stanza pullula di pantaloncini corti e braccia in vista.

La scuola in questione non ha ovviamente potuto dar seguito alla richiesta dei genitori, dettata da convinzioni religiose legate alla corrente più intransigente dell’Islam, che predica la separazione di alcune attività tra uomini e donne. Il tentativo non è andato a buon fine, com’era ovvio che fosse. Ma il fatto che una storia simile, intrisa di arretratezza e autoritarismo, sia venuta alla luce, ha permesso di accendere il faro su un fenomeno in crescita anche a Pordenone. «I problemi del genere - ha spiegato ad esempio Simonetta Polmonari, rappresentante dei presidi del Pordenonese - stanno aumentando». L’alta percentuale di immigrati di religione musulmana ha aumentato anche quella che nelle comunità islamiche si possano celare comportamenti figli di un’interpretazione massimalista della religione. Quindi maschi da una parte, donne dall’altra. Anche se i maschi sono ragazzini e le donne ragazzine. «Infatti le problematiche più urgenti riguardano soprattutto le scuole medie», precisa Polmonari. 

EMARGINAZIONE
La vergogna, la paura, il timore di essere nel torto perché tra le quattro mura di casa vince chi alza la voce. Far emergere le storie di emarginazione giovanile che nascono per motivi religiosi è assai complicato. Ma la speranza, qui come in altri casi, alberga proprio nei pensieri dei giovani stessi. Sono loro, le ragazze, a svelare le storie più brutte nei temi scolastici. Con la penna scrivono quello che non riescono a dire con la voce. E gli insegnanti, poi i presidi, si accorgono di una situazione difficile sia da controllare che da correggere. A Pordenone, ma anche nelle scuole dei comuni più grandi della provincia, ci sono giovani adolescenti sulla cui testa pendono vere e proprie minacce: «Non possono partecipare alle attività extrascolastiche del pomeriggio, non sono autorizzate dalle famiglie a partecipare alle gite», spiega sempre la dirigente Polmonari. Per non parlare di un’uscita tra amici di pomeriggio, un ambito nel quale nemmeno la scuola può entrare. È un microcosmo di emarginazione controllata, di un tentativo di esclusione dalla società che non può portare ad altro che a una progressiva ghettizzazione. Il mondo della scuola ha iniziato a comprendere le dimensioni del problema, che nasce quando sui capelli delle giovani alunne inizia a comparire il velo, simbolo della religione musulmana vista con gli occhi delle donne. E il rischio è che dall’ora di ginnastica si passi alla convivenza tra i banchi, in una battaglia ideologica più vicina al diciottesimo secolo che al Duemila.
 
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