Il metodo Richelieu/ Parlare di meno e negoziare con più forza a Bruxelles

di ​Giulio Sapelli
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Sabato 24 Novembre 2018, 00:10
«Bruxelles avvisa che la manovra mette a rischio la stabilità fiscale». È il titolo di apertura di pagina 37 del quotidiano El Pais (sottolineo, pagina 37) con una foto in cui campeggia una sorridente Nadia Calvino, ministra spagnola dell’Economia, con a fianco un accigliato Pierre Moscovici, del quale si riportano le solite frasi minacciose. Due colonne sotto la campeggiante fotografia occhieggia una breve notizia in grassetto dal titolo «Altro passo verso lo scontro con l’Italia».

Una sorta di normale avviso ai naviganti con un tono che è lo stesso che segna la cifra “armonica” di tutti i media spagnoli, a cominciare dalle tv. È immaginabile che lo stesso tono di normalità lo si noterà anche quando verrà il giorno della manovra francese.

Si dirà che tutto ciò dipende dalla tranquillità che viene dall’avere un debito inferiore a quello italiano. Sicuro, ciò ha la sua rilevanza ma non si sfugge all’impressione che in Italia le vicende del debito e della manovra economica si collochino in un contesto emotivo ben diverso da quello di altre nazioni europee.

Intendiamoci: i commissari europei recitano rispetto alle questioni di bilancio la stessa parte in commedia, sostengono un ruolo. Il pilota è automatico, sicché ex ministri ed ex leader politici giunti in Commissione dimenticano i tempi in cui vennero eletti dal popolo e in breve si trasformano nei custodi dell’ortodossia bruxellese.

E fanno ciò con una tempestività perennemente simile: è il trionfo dell’ideologia e della nuova religione dell’austerità. Il problema, soprattutto, è questa infernale giostra di automatismi che diffonde deflazione e blocca la crescita senza che si possa vedere un’inversione di tendenza. Ma, cosa ben più inquietante, è lo spirito attuale della borghesia nazionale, ormai pervasa di esaltazione servente in una sorta di ritorno agli anni Novanta.

Oggi non si privatizza senza liberalizzare. Oggi si è pronti a vendere a prezzi scontati grazie all’erosione dei margini d’impresa e alle difficoltà in cui sono precipitate le banche a causa del predominio strumentale dello spread. Sembra che tutto si vada apprestando, come in un disegno, affinché si possano aggredire i nostri asset più preziosi a prezzi di saldo. È un dramma questo cui occorre dedicare molta attenzione se si vuole evitare un’altra pesante ondata predatoria.

I politici al governo paiono scarsamente consapevoli del valore della posta in gioco e con il clamore che producono fanno in sostanza il gioco dei compratori. Dovrebbero invece negoziare sempre e soprattutto in segreto: in guisa di nuovi “Richelieu” e non di araldi dell’allarmismo a rovescio. E dovrebbero farlo in primo luogo i ministri competenti per funzione e per vocazione. 

Essi devono comprendere che i richiami a riconsiderare al ribasso le prospettive di crescita che vengono da Bruxelles sono più che legittimi, perché la grande depressione internazionale avanza e l’unico dubbio è su quanto essa sarà intensa. E se ciò è vero, è necessario operare rapidamente affinché il moltiplicatore della nuova crescita agisca in forma meno aleatoria di un ampliamento della domanda interna con trasferimenti monetari che sono difficili da trasformare in occupazione.

Ecco allora che occorre destinare agli investimenti una parte ben più consistente delle risorse sino ad oggi annunciate, a cominciare da un grande piano infrastrutturale che superi gli ambientalismi catastrofici. In tal modo compiendo la mossa del cavallo: rimettere in moto la macchina produttiva mentre si inizia a trasformare una cultura che è troppo ostile alla crescita. Quindi negoziare in silenzio, gettare le basi per una crescita produttiva - e di conseguenza occupazionale - e combattere la povertà con il lavoro creato grazie all’innovazione e alla politica, dismettendo l’agitazione e la propaganda. Hic Rhodus hic salta.
 
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