Rifiuti, il cerchio si chiude solo con i termovalorizzatori

Il termovalorizzatore di Barcellona
di Davide Tabarelli
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Giovedì 22 Novembre 2018, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 21:33
Se si parla di Barcellona e San Francisco le cose non possono che essere più belle, e questo vale anche per i rifiuti, perché sono prese a riferimento, incautamente, quale esempio per arrivare al fantasioso obiettivo rifiuti zero. La realtà è diversa e, anzi, conferma che la soluzione per chiudere il cerchio è sempre il recupero energetico attraverso i termovalorizzatori.

Innanzitutto San Francisco, città californiana da 900 mila abitanti, ha stabilito un obiettivo, nel 2003, di rifiuti zero per il 2020. Attualmente la Recology, società di gestione dei rifiuti, dichiara l’80% di riciclo, quota che va confrontata a un 75% già raggiunto nel 2010. L’aumento in 8 anni di solo 5% testimonia già qualche difficoltà, riconosciuta dalla stessa amministrazione. Di sicuro c’è che il 20% finisce ancora in discarica. 

Questo è un valore molto più basso rispetto al 70% del resto degli Stati Uniti, il Paese al mondo che produce la quantità più alta di spazzatura. Gli ultimi dati indicano 770 chili a testa ogni anno, con valori prossimi ai 900 in California, lo stato più ricco dell’unione, contro i 507 dell’Italia. Che gli americani ci facciano la lezione sulla sostenibilità è un po’ paradossale. Il vero problema delle statistiche di San Francisco è che nel totale della riciclata ci mettono anche i detriti provenienti da edifici, una enorme quantità che inevitabilmente va ad aumentare il livello di riciclo, solo perché i detriti servono per fare riempimenti, fondi stradali o fondi delle piste di aeroporti. In Italia, dove qualsiasi cosa smossa, tipo, caso assurdo, le rocce delle gallerie, diventa rifiuto speciale, questa contabilizzazione non è possibile e addirittura può causare attivazione di reati penali. Una stima sommaria indica che, eliminando i detriti da demolizioni, il vero livello di riciclo a San Francisco scenderebbe sotto il 70% e sul 30% rimanente, mezzo milione di tonnellate che va ancora in discarica, si può fare poco. 

Quello che accade a San Francisco per strada è quello che si fa anche in Giappone. La Recology, la società che gestisce la raccolta, fornisce alle villette 3 bidoni, uno azzurro, dove si butta tutto ciò che è riciclabile, carta, vetro, plastica e metallo. Il secondo bidone è verde e lì ci si butta l’umido, mentre il terzo bidone serve per ciò che non è riciclabile. L’umido del bidone verde finisce per fare del compost che va a concimare le vigne della Napa Valley. Il contenuto del bidone azzurro viene trattato in capannoni, come facciamo noi in Italia, con persone che a fianco di nastri trasportatori, ambiente poco salutare, separano quello che le macchine non riescono a selezionare.
È intelligente il sistema di addebito dei costi che tiene conto del peso nei due bidoni virtuosi e penalizza quello del bidone nero, dove si tende a buttare il meno possibile. Nel riciclare, di enorme aiuto è il fatto che negli Usa, come capita spesso, le normative ambientali sono molto meno stringenti di quelle dell’Europa. Il livello di contaminazione consentito dell’umido è molto più alto, così come la qualità della carta da macero da riciclare può essere molto più bassa. Nella catena a valle del riuso, molto finisce in discarica, oppure, come accadeva fino al primo gennaio di quest’anno, veniva spedito in Cina. Aiuta molto il fatto che San Francisco è una delle città più ricche al mondo, con un reddito pro capite di 65 mila dollari, contro i 43 mila del resto degli Usa e i 32 mila dell’Italia. Viene confermata la regola che l’economia circolare ben si adatta ai ricchi che hanno più tempo per selezionare, più spazio per i vari bidoni, più soldi per pagare bollette e per comprare prodotti più sostenibili. 

Dall’altra parte dell’Atlantico, a Barcellona, le cose sono ancora più semplici. In pieno centro cittadino c’è un nuovissimo termovalorizzatore (foto), rinnovato nel 2014 su un vecchio impianto attivo dal 1970. Fornisce energia a vicini appartamenti, ad alberghi e a un ospedale. Riceve 360 mila tonnellate di rifiuti trattati e raccolti a monte attraverso anche gli scarti della differenziata.

A Barcellona la spazzatura viene buttata in cassonetti più belli dei nostri, ma il concetto è di raccogliere, come da noi, separatamente, carta, vetro e umido, mentre tutto il resto finisce nell’indifferenziato che, dopo un po’ di trattamento, va al termovalorizzatore, oltre 300 mila tonnellate all’anno. È attaccato alla spiaggia, la Playa de Forum, sempre molto affollata di bagnanti, dista 5 chilometri in linea d’aria dalle Ramblas e fornisce aria condizionata a uno dei quartieri più eleganti di Barcellona. 
Barcellona e San Francisco, nell’immaginario collettivo, sono fra le città più belle del mondo, ma sui rifiuti confermano quanto da noi molte città stanno già facendo da anni con i termovalorizzatori.
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