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di Luca Cifoni

Reddito, flat tax, quota100: i nomi (sbagliati) della manovra

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Martedì 30 Ottobre 2018, 12:37
La legge di Bilancio attesa in Parlamento per il 20 ottobre sta per essere ultimata. Ma - forse mai come quest'anno - se ne è già parlato tantissimo: i principali provvedimenti che dovrebbero trovarvi posto sono stati discussi, analizzati, criticati sia dai promotori sia dagli avversari. E allora si può fare intanto un'osservazione che apparentemente è solo linguistica: le misure-simbolo di questa manovra vengono indicate con nomi che non corrispondono alle loro caratteristiche. Sembra ormai difficile però utilizzare altre parole.

Partiamo dal reddito di cittadinanza: i proponenti del M5S lo hanno definito così fin dal loro primo progetto di legge in materia, che risale al 2013. Per reddito di cittadinanza (Universal basic income, in sigla Ubi) si intende però nella letteratura economica un sussidio erogato a tutti i residenti senza alcuna verifica relativa alla loro condizione economica. Insomma una somma-base data a tutti, dai poveri ai miliardari. Lo schema indicato dai pentastellati somiglia invece a un Gmi (Guaranteed minimum income) ovvero un importo che integra il reddito dei beneficiari, per portarlo a un livello che è ritenuto appunto il minimo per la sopravvivenza. Questo meccanismo suppone appunto la verifica dei mezzi per i potenziali aventi diritto. La differenza non è teorica: le discussioni di queste settimane si sono concentrate proprio sul fatto che i beneficiari dovrebbero essere persone in difficoltà che cercano lavoro. E a parte altre considerazioni, il Gmi è presente in molti Paesi pur se in forme diverse, mentre l'Ubi trova applicazioni molto più rare e limitate.

Poi c'è la flat tax. Al di là di quel che se ne può pensare, la "tassa piatta" prevede un'aliquota nominale unica su tutti i redditi, con l'obiettivo di limitare (anche se non sopprimere) la progressività del tributo. Da noi invece si punta (per ora) ad estendere un regime forfettario già esistente per le partite Iva, che prevede un'imposta sostitutiva al 15%. Quanto alla generalità dei contribuenti, gli schemi emersi nelle discussioni prevedono due o tre aliquote Irpef: meno delle cinque attuali ma qualcosa di piuttosto diverso dalla flat tax. Meglio così, dirà chi non è convinto dell'idea; ma - di nuovo - il nome non corrisponde alla cosa.

Arriviamo così alla nuova modalità di accesso anticipato alla pensione, nota come "quota 100". La parola "quota" dovrebbe indicare la possibilità di combinare in modi diversi requisito anagrafico e contributivo per arrivare appunto a un certo numero. Ma in questo caso vengono richiesti 62 anni di età e 38 di contributi (62+38=100) senza altre opzioni. Ad esempio se i 38 anni di contribuzione si raggiungono solo a 64 anni bisognerà attendere questa età (quando la somma darà 102) e non sarà possibile ad esempio sommare 63 con 37 per guadagnare un anno. E così via. Quindi non di quota si tratta ma di requisiti congiunti.

Infine c'è un caso in cui la variazione lessicale è consapevole e voluta: si tratta della "pace fiscale", espressione creata per designare un complesso insieme di sanatorie della quale almeno una si configura come un vero e proprio condono. Nomina sunt consequentia rerum si diceva forse un po' ingenuamente nel Medio Evo. Ma a volte anche nella politica economica i nomi vanno per conto proprio.
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