Lampi
di Riccardo De Palo

"Chicago" di David Mamet, un romanzo a ritmo di jazz (e di mitra)

Gli intoccabili
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Lunedì 29 Ottobre 2018, 18:04
«Il blocco dello scrittore è una malattia per ricchi, non te lo puoi permettere», dice il direttore Crouch al suo giovane giornalista, Mike Hodge, protagonista di Chicago, il primo romanzo (da oltre vent'anni) di uno dei massimi drammaturghi e sceneggiatori americani, David Mamet (uno che, per fortuna, quel blocco non deve averlo mai provato in vita sua). Sembra di tornare ai tempi de Gli intoccabili, il film di Brian De Palma scritto dallo stesso premio Pulitzer. Siamo a Chicago, negli anni del proibizionismo: gli italiani di Al Capone e gli irlandesi di O'Banion si sono spartiti la città. Il veterano della Grande Guerra (Mike, appunto) e il collega Clement Parlow (che lavora nel Coffin Corner, angolo delle bare così detto «perché là le storie andavano a morire») indagano sull'uccisione di un piccolo boss locale, Jackie Weiss, crivellato dai colpi dei gangster, in una città funestata da corruzione endemica e agguati di bande rivali.

Il trentenne ex asso dell'Aviazione si innamora di Annie, una fioraia irlandese dalla «scioccante bellezza virginale», proprio mentre è alle prese con i suoi doveri di cronista. A poco servono gli ammonimenti di Crouch, che ritiene l'amore «la morte del giornalismo»: l'incontro fatale lo segnerà per sempre, e lo catapulterà in una vera e propria discesa negli inferi; un viaggio tra i bassifondi e i postriboli della Windy City che lo renderà (come in un catartico romanzo di formazione) un uomo diverso e più compiuto di prima. Ciò che conta, in questo piccolo capolavoro di Mamet, è il ritmo; serve del tempo per abituarcisi, per prendere il volo. I dialoghi sono molto teatrali, realistici e sincopati (come la musica jazz del tempo, o il rat-a-tat dei mitra), con un utilizzo smodato del corsivo, per accentuare l'intonazione di una parola («Sto lavorando su una traccia, niente in contrario?», disse Mike. «Così la chiamano adesso?», disse Parlow. «Così la chiamano», confermò Mike.)

Confrontando l'edizione originale inglese con la traduzione (da mercoledì 31 ottobre nelle librerie), si percepisce lo sforzo di rendere al meglio la musica dell'originale; e si apprezza ancora di più il lavoro di Andrea Branchi, alle prese con una vera missione impossibile. Mamet è uno dei massimi fabbricanti di dialoghi viventi; e chi ha visto i suoi lavori, come Il postino suona sempre due volte o American Buffalo, può testimoniarlo. Spesso nel romanzo compaiono parole gergali, o forme contratte, che identificano subito i personaggi, come la riuscitissima madame di colore Peekaboo, o il sergente irlandese O'Malley del 43° distretto di polizia. Mamet eccede, se vogliamo, nei suoi pregi: la costruzione teatrale a volte conferisce alla narrazione un effetto ridondante. Ma il testo è già una perfetta sceneggiatura, e, come nei film hollywoodiani, anche Al Capone compare per un cameo. 
«Un uomo che morde un cane è troppo interessante per essere una notizia», avverte il direttore del Chicago Tribune, il quotidiano in cui i protagonisti vivono, lavorano, litigano (e spesso si ubriacano con porcherie artigianali). Mamet racconta in maniera avvincente un'epoca in cui il giornalismo, pur non esente dall'endemica corruzione del tempo, mobilitava passioni e talenti. «La notizia è come un limone: va strizzata per bene».
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