Stretta sulle moschee: «Stop fondi dall’estero e registro per gli imam»

Stretta sulle moschee: «Stop fondi dall’estero e registro per gli imam»
di Barbara Acquaviti
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Lunedì 22 Ottobre 2018, 06:35 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 12:46
ROMA Il titolo è “Disposizioni concernenti il finanziamento e la realizzazione di edifici destinati all’esercizio dei culti ammessi”. Al netto del freddo linguaggio legislativo, è una delle proposte che fanno parte del core business della Lega e ha l’obiettivo di rendere tracciabili e trasparenti le risorse a sostegno degli edifici religiosi e impedire l’afflusso di denaro dall’estero. In primis, per le moschee. La finalità principale è così spiegata: evitare che tali luoghi «da punti di aggregazione, possano diventare centri di possibile reclutamento da parte dell’estremismo».

LE MISURE
Il disegno di legge porta la firma di Guido Guidesi, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ed è stato inserito nel calendario dell’Aula della Camera per dicembre. «Chiuderemo le moschee illegali, voglio sapere chi finanzia, chi c’è dietro, da dove arrivano i soldi, chi predica e cosa predica», spiegava Matteo Salvini in campagna elettorale. La Lega, in realtà, ci aveva già provato nella scorsa legislatura. Ma questa volta ha dalla sua i numeri per mandare in porto la proposta anche perché i punti essenziali di questo ddl sono contenuti nel contratto di governo.
Il Carroccio avrebbe voluto inserire una linea più dura che comprendesse anche la chiusura delle moschee abusive e l’obbligo di predicare in italiano. Nell’accordo di governo, tuttavia, si fissa la necessità di adottare «una normativa ad hoc che preveda l’istituzione di un registro dei ministri di culto e la tracciabilitàdei finanziamenti per la costruzione delle moschee e, in generale, dei luoghi di culto, anche se diversamente denominati».

Guidesi indica tra gli obiettivi quello di «colmare il vuoto normativo esistente nel nostro ordinamento», dal momento che «non esiste un’intesa fra lo Stato italiano e la confessione religiosa islamica, non essendoci un unico interlocutore per la religione musulmana».

I precedenti esecutivi avevano già avviato un lavoro in questa direzione. Nel febbraio del 2017, con Marco Minniti ministro dell’Interno, il governo italiano aveva firmato un accordo di collaborazione con dieci importanti associazioni attive in Italia, chiamato “Patto nazionale per un islam italiano”, in cui le associazioni si sono impegnate, tra l’altro, a garantire la trasparenza dei propri fondi. Ma il modello a cui la Lega guarda è più quello dell’Austria del cancelliere Sebastian Kurtz che, già quando era ministro, fece approvare una legge che impediva l’arrivo di finanziamenti da altri Stati. La stessa Austria che, per violazione di quella normativa, a giugno ha annunciato la chiusura di sette moschee e l’espulsione di vari Imam prendendosi il plauso di Matteo Salvini.

LA RELAZIONE
Nella relazione che accompagna la proposta di legge si spiega che ammonterebbero «a diciotto milioni di euro all’anno i finanziamenti per la costruzione in Italia di moschee e luoghi di preghiera e culto, autorizzati o meno, provenienti dall’estero, in particolare dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dalla Turchia». Nello specifico, si fa riferimento a notizie di stampa secondo cui «ogni anno» la Qatar charity foundation destina «in media al nostro Paese circa sei milioni di euro» mentre «dalle associazioni turche ne arriverebbero quattro milioni e dall’Arabia Saudita otto milioni».
La proposta di legge di Guidesi prevede dunque che i finanziamenti possano giungere da enti o persone che siano rigorosamente e tutte «residenti nel territorio nazionale» e che le comunità che vogliano realizzare edifici di culto abbiano l’obbligo di redigere il bilancio «non in forma semplificata» e di depositarlo «ai fini della loro pubblicità», presso la camera di commercio competente. Inoltre, per le religioni per cui non esistono già accordi con lo Stato italiano, si stabilisce che negli Statuti sia previsto il «rispetto dei princìpi e dei valori della Costituzione».
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