Roma, il vincolo con vista sul rudere che blocca l'interporto del Lazio

Roma, il vincolo con vista sul rudere che blocca l'interporto del Lazio
di Lorenzo De Cicco
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Venerdì 12 Ottobre 2018, 09:15 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 12:31
Dodici secondi. Nel film di Pasolini, Uccellacci e uccellini, era il 1966, la torre maggiore di Santa Palomba, già diroccata all'epoca, compare sullo sfondo in un paio di inquadrature, dodici secondi, appunto. Tanto è bastato, a quanto pare, per far scattare il vincolo paesaggistico su 2mila ettari tutt'intorno, un'area gigantesca, come 2.700 campi di calcio messi insieme. E questa mega-tutela per ora ha spedito su un binario morto il progetto dell'Interporto pontino, approvato dal governo nel 2015 e giudicato strategico per il trasporto delle merci nel Lazio e nel Centro Italia. Un'infrastruttura che dovrebbe agganciare la Capitale e il resto della regione al corridoio Scandinavo-Mediterraneo, l'asse che attraversa l'Italia e collega i porti del Mezzogiorno con le aree economiche più forti dell'Ue. «Ridurrebbe il traffico, perché le merci viaggerebbero più sui binari dei treni che sui camion, ma anche l'inquinamento. E l'opera creerebbe tra i 1.500 e i 2mila posti di lavoro», ricorda il comitato Interporto Pontino, appena nato per difendere l'opera dalle insidie della burocrazia.

Dopo il sì del governo, col varo in Consiglio dei ministri del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, sembrava arrivata l'occasione per mettere riparo all'inadeguatezza degli impianti di movimentazione merci intorno alla Città eterna. Invece, due anni dopo, a novembre del 2017, è spuntato fuori, su proposta della Sovrintendenza del Ministero dei beni culturali, un «vincolo ambientale». Non sulla torre, beninteso. Quella era già vincolata da un pezzo insieme agli immediati paraggi, come prevede la legge. Ma nell'enorme porzione di terre intorno, i 2mila ettari di cui si diceva. Questo per tutelare la vista del torrione cadente e di un altro casale dove è stato girato il film di Pasolini e Totò. Peccato che a circondare le rovine, già da decenni, siano grandi serbatoi di petrolio, fabbricati e magazzini vari.

Del resto non siamo nel cuore di un parco archeologico, ma di quella che nei piani urbanistici votati dalle giunte di ogni colore è definita come «area industriale». Al confine tra Roma e Pomezia, al centro di un insediamento industriale dove lavorano 110 aziende, tra il settore farmaceutico, l'industria meccanica, il settore alimentare e dolciario, la logistica e la grande distribuzione. Perfetto appunto per un interporto, tanto più che proprio qui, a Santa Palomba, c'è già una stazione ferroviaria. Ovviamente andrebbe adeguata - oggi può contenere treni fino a 380 metri, mentre dovrebbe accogliere mezzi lunghi 750 - con i piazzali per i camion e i container, qualche officina, i magazzini di lavorazione delle merci, gli uffici amministrativi e delle dogane. Servirebbero 138 ettari, come un interporto di medie dimensioni. Eppure 100 ettari sono finiti sotto vincolo per garantire la vista del rudere. E da area industriale, come erano sempre stati classificati, sono diventati zona protetta. La torre intanto resta lì, in rovina, mentre col progetto che si è arenato sarebbe stata ristrutturata.

LA PROTESTA
«L'Interporto è un'opportunità eccezionale, con un terminal adeguato si potrebbero connettere Roma e il Lazio alla moderna rete del trasporto merci, non solo verso il resto d'Europa ma fino all'Estremo oriente», dice Daniele Fichera, ex presidente della Commissione Attività Produttive alla Regione, ora a capo del comitato che difende l'opera. «Solo il settore farmaceutico nel Lazio muove 4,5 miliardi. Quest'opera avrebbe un impatto non solo economico, ma anche ambientale, con la riduzione dello smog e del traffico, e occupazionale».
Come ricorda Massimo Tabacchiera, presidente di Confapi Lazio, e membro del neonato comitato, «sono 20 anni che si parla di rafforzare il trasporto su ferro e l'interporto è uno snodo cruciale di questo sistema». I privati, racconta, hanno già fatto ricorso al Tar contro il vincolo, e si è mosso anche il Comune di Pomezia. «Ma si deve muovere anche la Regione - dice Tabacchiera - perché se questa opera salta, si rischia anche un danno erariale».

 
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