Se Salvini s’innamora di Roma

Se Salvini s’innamora di Roma
di Mario Ajello
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Venerdì 12 Ottobre 2018, 07:10
Diceva Orazio: «Che cosa migliore di Roma?». Osservandola dal tetto del Viminale, Roma è magnifica, proprio come lo è da qualsiasi angolo visuale. Perfino un lumbard, Matteo Salvini, uno che dice «ciapa lì e porta a ca’» a proposito del via libera al decreto sicurezza o che inciampando su un filo della parabola tivvù in cima al ministero esclama rivolto a se stesso in slang milanese: «Ocio!», non può resistere.


Anche Salvini non riesce proprio a resistere alla maestà di Roma. E almeno in questo, davvero c’è un «governo del cambiamento». Perché, nel recente passato, gli inquilini di Palazzo Chigi - anche se Salvini non ne è il titolare ma il vice - non sono mai sembrati particolarmente generosi di elogi nei riguardi della Capitale. E’ come se ci vivessero senza guardarla. 

Il ministro dell’Interno ieri s’è inerpicato sul tetto del suo dicastero, per girare da lassù una diretta Facebook sulle varie questioni politiche. Ma parlando del Def e di tutto il resto, non è riuscito a non farsi conquistare dal paesaggio. E sentendosi un po’ il Sorrentino della Grande Bellezza, anche se il premio Oscar è di sinistra e lui no, ha detto all’operatore di fare una panoramica storico-artistica, mentre lui ironizza su se stesso: «Mi sento un Piero Angela in piccolissimo...». La telecamerina spazia e Salvini spiega passeggiando sul tetto: «Lì, c’è l’Altare della patria. Posso farlo vedere senza essere accusato di nostalgie fasciste?». E ancora, guardando verso il mare e continuando nella sua estasi: «Più giù, c’è l’Eur. E ancora più avanti, ma non è lontana, c’è Latina. C’erano le paludi, poi c’è stata la bonifica e adesso c’è questa bella città, ma non so se posso dirlo che tutto questo lo ha fatto Mussolini....». 

Non solo la grande bellezza di Roma, insomma, ma la grande bellezza della Roma fascista. Che neppure l’anti-mussoliniano più incallito potrebbe negare, anche se talvolta (ipocritamente) succede. E pensare che l’Altare della patria è sempre stato un po’ controverso dal punto di vista estetico. Dan Brown, il celeberrimo scrittore di thriller storici famosi in tutto il mondo, ha detto che somiglia a una «torta nuziale». C’è chi invece il Vittoriano - la cui costruzione cominciò nel 1878, poi dal 1922 è stato un grande set del Ventennio e gli ultimi lavori di completamento risalgono al 1935 - lo ha sarcasticamente soprannominato «la macchina da scrivere». Mentre Carlo Azeglio Ciampi, che prima di fare il presidente della Repubblica è stato anche premier, lo pregiava particolarmente e non è stato il solo.

Ora c’è Salvini a fare i complimenti a questo simbolo dell’Unità d’Italia, proprio lui che è un ex secessionista, e la pioggia che gli cade in testa - «Adesso apro l’ombrello» ma poco dopo lo richiude dicendo: «Mi bagno ma che importa...» - non inibisce lassù sul terrazzo il Matteo che potrebbe rivaleggiare con l’altro Matteo, inteso come Renzi, il quale ha appena girato il documentario sui tesori della sua Firenze ma non s’è mai fatto prendere dal fascino dell’Urbe. 

Salvini sembra trovarsi a suo agio sul tetto da dove guarda tutto e, a dispetto delle buche e degli alberi cadenti su cui s’è intrattenuto ultimamente parlando della gestione Raggi, esclama: «Questa è una splendida città». E aggiunge: «Siccome molte di queste cose le ha fatte Mussolini, io dovrei fingere che non esistano, ma non lo faccio». E fingendo di volersi fare perdonare per questo suo gusto estetico che qualcuno potrebbe (a torto) rinfacciargli come un giudizio ideologico, spara un sorrisone: «Vabbé, viva la libertà e viva la democrazia!». 
Il punto però è che non basta farsi ammaliare da Roma. Va benissimo adorarla, il che oltretutto non costa troppa fatica, ma si tratta anche di fare qualcosa per la Capitale che ha bisogno del sostegno di tutti, a cominciare da quello del governo, per risollevarsi. Ossia si tratta, anche da parte di Salvini, di ridare a Roma ciò che da lei si prende. Di restituirle con atti politici e con un impegno concreto e legislativo a suo favore - e questa sì che sarebbe vera discontinuità con i politici di prima - il beneficio estetico ottenuto e l’onore di poterla abitare e ammirare.
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