La storia risale alla fine di giugno, quando l'uomo di Aprilia, 63 anni, arriva al pronto soccorso con forti dolori all'addome e una grave anemia. Il ricovero è immediato. Visto che il livello di emoglobina è molto basso, i medici raccomandano una trasfusione. Lui, però, rifiuta per motivi religiosi e chiede di essere curato con strategie alternative, cosa che avviene prontamente. L'ematologo Francesco Equitani, primario del trasfusionale, fa somministrare una dose massiccia di eritropoietina e ferro. Nel frattempo la Tac evidenzia la necessità di un intervento al colon.
I valori di emoglobina restano bassi, siamo a 4,1, ma l'uomo viene portato in sala operatoria ugualmente e il dirigente della chirurgia Marco Sacchi, insieme all'anestesista Isabella Marcante, decidono di effettuare il delicato intervento nonostante le linee guida indichino in 8 il valore minimo di emoglobina.
«Per pregiudizio o trascuratezza, ancora oggi pur in realtà assistenziali evolute e qualificate appare eccessivo il rischio di considerare l'emotrasfusione come l'unica chance terapeutica per pazienti affetti da anemia acuta - dice Francesco Equitani - ci sono alternative significative, efficaci, maneggevoli ed economicamente sostenibili». I testimoni di Geova sottolineano come «i medici coinvolti nell'intervento si sono distinti per aver operato nel rispetto della volontà del paziente, in armonia con l'articolo 32 della Costituzione e con la recente legge 219/2017 sul biotestamento».
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