Rokia Traoré, regina della world music: «La mia Africa che fa ballare i luoghi comuni»

Kirina, lo spettacolo con le musiche di Rokia Traoré, che inaugura il 19 settembre il festival RomaEuropa
di Simona Antonucci
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Domenica 16 Settembre 2018, 21:19 - Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 15:42

«L’Africa non è soltanto un continente “nero”, un minaccioso contenitore di problemi, è anche una terra piena di storie da raccontare e bellezze da salvare». Rokia Traoré, cantante maliana, 44 anni, ritenuta una delle regine della musica world e dell’afrobeat, firma la “colonna sonora” di Kirina, spettacolo che inaugura il 19 settembre al Teatro Argentina il RomaEuropa Festival. Un’opera per nove danzatori, un attore, quattro musicisti, due cantanti e quaranta figuranti, nata dalla collaborazione tra il coreografo Serge-Aimè Coulibaly (già danzatore per Alain Platel e fondatore della Faso Danse Théâtre), Traoré, musicista che vive tra la Francia e il Mali, e l’economista e scrittore senegalese Felwine Sarr, per l’occasione nelle vesti di librettista.
 

 

Una costruzione coreografica con le note e i suoni di Rokia («Pensate sulle esigenze di Serge e del movimento dei ballerini», aggiunge Traoré) che viaggia dalla tragedia alla leggerezza, dal Macbeth alla Sagra della Primavera, al passo acrobatico di interpreti “multilingue”, ottimi traduttori del linguaggio classico e del contemporaneo.

Il cammino di Kirina tra Occidente e Africa apre le danze di una rassegna cui partecipano 60 compagnie da 24 nazionalità differenti, ospiti in 27 luoghi diversi della Capitale, per un totale di 68 progetti per 168 repliche. Trecento artisti che si confrontano con le grandi trasformazioni e contraddizioni della contemporaneità: il mondo a Roma con spettacoli, mostre, installazioni, convegni e percorsi di formazione. «Manifestazioni del genere», aggiunge Traoré, «sono fondamentali. Conoscere serve a crescere. E l’Europa deve sapere di più».

Un lavoro dedicato ai popoli in viaggio?
«Dei migranti di oggi si racconta soltanto dove arrivano. Mai da dove partono, neanche spuntassero dal nulla. Noi abbiamo cercato di mettere sotto i riflettori le ricchezze culturali dei nostri Paesi, affrontando il fenomeno dei flussi come qualcosa che appartiene alla storia dell’umanità, la marcia dell’umanità. Nei secoli, la gente si è sempre spostata per stare meglio».

In scena, popoli-danzatori in cammino verso l’avvenire.
«È la storia del mondo. Persone che arrivano in una città e contribuiscono a costruire un nuovo Paese. Tutte quelle stoffe colorate che in scena formano torri, bagagli, case, sono state pensate proprio per dare il senso della crescita, dovuta alla stratificazione delle piccole o grandi ricchezze di ognuno di noi».

Lei vive tra l’Europa e l’Africa: in che modo l’hanno arricchita i due diversi continenti?
«È questo continuo movimento che mi ha arricchita. Sono sempre una persona che arriva da un posto lontano e che deve rendersi disponibile ad aprire la testa e gli occhi a una nuova realtà: sono un’africana che vive in Francia e sono una francese che vive in Africa. Una perenne diversa, ma con tanti mondi dentro».

Una scelta complicata?
«Sì, perché non puoi essere mai totalmente te stessa. Devi esaltare o mettere da parte un aspetto della tua identità per adattarti alle persone o alle società con cui ti stai confrontando. E a un certo punto non sai più chi sei. Ma sono felice della mia vita. Rifarei tutto e sceglierei di vivere proprio così, come ho fatto finora».

Artista, donna e mamma: ancora più difficile?
«Nella mia cultura, e secondo me non soltanto nella mia, la donna deve sacrificarsi per il bene di qualcun altro: il marito, i figli, la famiglia, la religione, la comunità. Le difficoltà principali le ho incontrate non perché sono una donna, ma perché sono una donna indipendente che decide da sola della propria vita. E questo aspetto, sì, complica tutto nei rapporti intimi e sociali».

Lei sceglie anche i suoi vestiti di scena, così particolari, un po’ tradizionali, coloratissimi, con un gusto tra couture parigina e nuove tendenze global. Li disegna lei?
«Sì, anche. Riflettono un po’ la mia filosofia. Il mio modo di stare al mondo. Tra passato e futuro».

E del velo che cosa ne pensa: in alcuni Paesi è obbligatorio indossarlo, e in altri è obbligatorio non indossarlo.
«Coprirsi o svelarsi: l’importante è che siano sempre le donne a decidere. Mai un’umiliazione imposta da qualcun altro».

Come vede le tensioni di questi giorni?
«Io credo che dalle differenze ci si può arricchire.
Come succede nei matrimoni tra persone di diverse origini. Si può e si deve trovare un modo per convivere. Del resto, un solo gruppo di persone non può essere più forte di tutti gli altri gruppi messi insieme». 

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