Il commissario Ue/ La sbandata di Bruxelles a colpi di fantasmi

di Giulio Sapelli
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Venerdì 14 Settembre 2018, 00:11
La politica è una forma dell’azione sociale ineliminabile. Anche i fedeli della religione tecnocratica non riescono a liberarsi di essa, come è ben evidente nel caso del Commissario Ue per gli Affari economici Pierre Moscovici che nelle sue ultime rovinose dichiarazioni sull’Italia non si è limitato a celebrare la liturgia della fedeltà assoluta al dogma secondo il quale l’unica politica economica oggi possibile è quella del rispetto del debito, invece del confronto sul lavoro e la crescita.

Moscovici non è solo un fedele interprete del dogma, ma un vero sacerdote in abito talare e quindi dovrebbe essere ben consapevole che la liturgia deve essere rigidamente osservata. Perciò non dovrebbe occuparsi delle volizioni elettorali dei popoli europei. Perché, invece, si aggrappa all’anello del potere che tiene unita l’economia con la politica e pronuncia anatemi non solo sulla situazione economica di uno dei Paesi fondatori, qual è appunto l’Italia, ma sbanda anche sul suo governo con un intollerabile paragone con il periodo fascista? 

In realtà, egli parla nella doppia veste di commissario ma anche di esponente macronista che guarda al redde rationem delle elezioni europee della prossima primavera. La ragione è evidente. Il commissario Moscovici è caduto, come gran parte dell’eurocrazia che domina l’Europa in questo periodo, nell’angoscia; è caduto nel timore di perdere il suo potere sacrale e di non poter più essere il celebrante assoluto della liturgia algoritmica e antidemocratica che domina oggi l’Unione. Bruxelles governa non con leggi ma con direttive: il potere, che dovrebbe essere l’anello della catena, appunto tra economia e politica, non ha legittimazione parlamentare in una incredibile sottrazione non tanto di sovranità quanto invece di legittimità. Moscovici, come il collega Gunther Oettinger, teme che si realizzi un rovesciamento di poteri tra Parlamento europeo e Commissione europea iniziando così un percorso che conduca a una rifondazione spirituale e culturale dell’Europa, come peraltro era nelle aspirazioni dei padri fondatori. In questa luce è indegno il riferimento offensivo di Moscovici contro “i piccoli Mussolini”: del fascismo l’Italia si è liberata per sempre il 25 aprile 1945 e non tornerà mai indietro. 

È bene che il commissario ne abbia contezza, visto che evidentemente mal frequenta la storia e le sue svolte tragiche. Se la frequentasse con maggior profitto, avrebbe già compreso che non solo l’Italia non è un problema per l’Europa, ma vista la piega presa dagli eventi è nell’interesse dell’Europa stessa fare un salto di qualità, nella consapevolezza che il rispetto dei trattati non esclude in futuro una loro rinegoziazione. Per avere assunto una posizione tanto scomposta e non appropriata al ruolo che gli venne affidato quando fu nominato commissario, dobbiamo pensare che in lui ora sta prevalendo l’anima più spietatamente politica in vista della campagna elettorale che l’anno prossimo porterà al rinnovo del Parlamento. 

Tanta aggressività si giustifica perciò con il timore che i movimenti populisti e sovranisti prendano il sopravvento nelle urne modificando i rapporti di forza che fin qui hanno consentito a un gruppo di potere stretto attorno all’asse franco-tedesco di guidare l’Europa anzitutto nel loro interesse e a spese dei partner più deboli o non adeguatamente rappresentati nelle centrali dell’eurocrazia. Caro commissario Moscovici, sappia che per nulla al mondo l’Italia accetterà che la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo si svolga sulla sua pelle.E a sue spese.
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