L’inviato dell'Onu, Ghassan Salamé: «Aiutiamo la Libia o diventerà il rifugio dell’Isis»

L inviato dell'Onu, Ghassan Salamé: «Aiutiamo la Libia o diventerà il rifugio dell Isis»
di Valentino Di Giacomo
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Mercoledì 12 Settembre 2018, 01:11 - Ultimo aggiornamento: 17:33

Trattenere i migranti in Libia, per periodi prolungati di detenzione e senza un giusto processo, non è la risposta e sicuramente non è più sostenibile». Dello scontro sotterraneo tra Italia e Francia preferisce non discutere, così come non gradisce esprimersi sui molteplici attacchi partiti negli ultimi tempi da Matteo Salvini nei confronti del presidente francese, Emmanuel Macron perché «l’Onu non commenta questioni che sono soltanto ipotetiche».

Ghassan Salamé, Inviato delle Nazioni Unite in Libia, non parlava da oltre un anno con i giornali italiani ed è da sempre molto restio nel rilasciare interviste. È preoccupato dei processi di stabilizzazione interni alla Libia e degli scontri armati della scorsa settimana, ma fa capire di esserlo ancor di più per le condizioni dei migranti nel Paese nordafricano ed anche del pericolo che l’Isis possa guadagnare posizioni di potere approfittando del caos degli ultimi tempi.

La Francia ha ribadito che dovranno tenersi le elezioni in Libia già il prossimo 10 dicembre, data che l’Italia ritiene prematura. È possibile giungere alle urne senza che prima sia stata scritta e accettata una Costituzione unitaria? Non teme che il giorno dopo il voto possano nascere scontri?
«Le elezioni si faranno, prima però devono essere soddisfatte alcune condizioni. Questo richiederà un grande sforzo per raggiungere l’obiettivo, ma sono realizzabili.Tra i presupposti indispensabili c’è ovviamente un ambiente di sicurezza favorevole, i passi legislativi richiesti e, ovviamente, l’impegno politico da parte di tutti ad accettare i risultati il giorno successivo e quelli a seguire».

A Novembre il governo italiano vuole organizzare una grande conferenza di pace in Sicilia con tutte le parti in causa. Sarà uno strumento utile per raggiungere gli obiettivi che ha menzionato? E quanto è stato importante l’incontro di lunedì scorso tra il ministro Moavero Milanesi e il generale Haftar?
«Siamo stati consultati dall’Italia per quanto riguarda la conferenza e abbiamo intenzione di partecipare. L’Onu non può che applaudire quando avvengono incontri che mirano a riunire i libici e la comunità internazionale, mettere tutti intorno ad un tavolo per stabilire le parole e le azioni che possono far progredire l’attuazione del piano d’azione delle Nazioni Unite. Anche l’incontro tra il vostro ministro degli Esteri e il generale Haftar (che ieri ha detto di non volere le elezioni a dicembre, ndr) è stato un passo utile verso il dialogo per riavvicinarsi e comprendersi, principi in cui noi crediamo fermamente».

Quanto è in pericolo la presidenza di Serraj a Tripoli dopo gli scontri dei giorni scorsi?
«La violenza che si è consumata Tripoli a partire dal 26 agosto ha infranto l’equilibrio che regnava in città dal maggio 2017. L’accordo di sicurezza che prevaleva nella capitale ha rinforzato alcuni gruppi armati che hanno agito in modo predatorio contro lo Stato libico, le istituzioni sovrane del paese e i suoi residenti. L’accordo di cessate il fuoco firmato grazie alla nostra mediazione e il successivo accordo sul consolidamento della fine delle violenze, firmato il 9 settembre, hanno avuto come oggetto la rivisitazione degli accordi di sicurezza a Tripoli al fine di ridimensionare quei gruppi che usano le armi per raggiungere i loro obiettivi predatori. L’accordo del 9 settembre evidenzia in particolare il ritiro delle milizie dalle postazioni governative e dalle infrastrutture critiche, sostituendole gradualmente con le forze di polizia e l’esercito».

A pagare un alto tributo di sangue agli scontri di Tripoli, oltre agli innocenti cittadini libici, sono stati anche i migranti rinchiusi in campi di detenzione governativi e nei compound dei trafficanti. Cosa si può fare per migliorare la loro condizione?
«Durante i combattimenti le vite dei migranti e dei libici sono state ulteriormente messe a rischio. Migliaia di migranti arbitrariamente detenuti sono stati intrappolati in centri di detenzione in aree di conflitto con scarso accesso al cibo e cure mediche. Trattenerli in Libia ingiustamente e in stato di detenzione, non è sostenibile per molto tempo ancora».

Oltre alle condizioni dei migranti spaventa la mai sopita presenza dell’Isis, tanto più in un periodo di fibrillazioni e vuoti di potere.
«Daesh ha dimostrato più volte di essere in grado di compiere attacchi, ne sono un esempio l’orrendo attentato alla Commissione elettorale, quello condotto vicino a Zliten. Fino all’altro ieri con il deplorevole attentato contro i pozzi petroliferi della National Oil Company. Si tratta di un fenomeno allarmante che rende bene l’idea di quanto sia pericolosa la capacità di queste organizzazioni terroristiche di sapersi rigenerare in un territorio già a rischio come quello libico. Sono profondamente preoccupato, se il processo politico si fermasse, che la Libia possa diventare un rifugio per i terroristi di tutte le convinzioni».

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