Il nuovo romanzo di Richard Flanagan; «Io, ghost-writer del re delle truffe»

Il nuovo romanzo di Richard Flanagan; «Io, ghost-writer del re delle truffe»
di Michele Neri
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Sabato 8 Settembre 2018, 00:39 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 15:47
i tempi del verosimile, c’è sempre più bisogno di verità. E un romanziere impegnato come Richard Flanagan, premio Booker per il capolavoro La strada stretta verso il profondo Nord, non poteva tacere. Per intervenire nel dibattito su post-truth e fake news, lo scrittore 58enne nato in uno sperduto villaggio minerario della Tasmania, è tornato indietro di quasi trent’anni, e a un’esperienza che gli valse l’esordio nella scrittura.

Il re australiano delle truffe di allora, John Friedrich, che aveva sottratto 300 milioni alle banche del Paese, si rivolse a Flanagan, proveniente da un apprendistato poco regolare – guida fluviale, carpentiere – perché scrivesse la sua autobiografia. Lo scrittore aveva a disposizione sei settimane, prima che il Madoff locale finisse in galera: ne erano passate soltanto tre e Friedrich, da cui attendeva le informazioni, si sparò. Il libro uscì lo stesso in tempo.
Questa vicenda personale, trasformata in un lucido thriller psicologico, è l’originale da cui Flanagan ha tratto il suo settimo romanzo: Prima persona (Bompiani, traduzione di Alessandro Mari, 430 pagg. 20 €). Al giovane aspirante scrittore Kif arriva la richiesta di fare da ghost writer per Siegfried Heidl che, attraverso la manipolazione di ogni verità, ha rubato 700 milioni di dollari. Come nella storia vera di Flanagan, Kiff ha sei settimane di tempo, e dopo tre il suo soggetto si uccide. Il risultato è il ritratto sconvolgente del più geniale bugiardo di sempre, uno Zelig della memoria che seppellirà Kif sotto tali e mirabolanti bugie che contraddicono precedenti contraddizioni, da costringerlo a inventare di sana pianta la vita di Heidl.

Abbiamo incontrato Flanagan (che oggi sarà a Mantova per il Ferstivaletterature) a Milano, città che ricorda con humour: nel 2004, quando risiedeva in Toscana, si recò a Milano per un tour promozionale. Abituato alle usanze del suo Paese non portò con sé un documento d’identità, e passò cinque ore in questura; per andarsene dovette scrivere che si chiamava Richard Flanagan e poi firmare con lo stesso nome.
Che cosa l’ha riportata a questo episodio lontano?
«Quanto accade oggi nel mondo: è gestito da truffatori. Il presente è dominato da potenti che inventano la loro realtà e poi dicono che deve essere anche la nostra. Un’altra ragione è legata a un modo di comportarsi di Friedrich. Per controllarmi e conquistare la collaborazione di altri, invadeva la mia e la loro privacy. Cercava di sapere tutto della vita privata. È quello che succede ora, con uno come Zuckerberg: sostiene non solo che la privacy non sia una virtù, ma che quelle che erano le diverse identità dei singoli – quella professionale, famigliare, amorosa eccetera– sono ormai sostituite da una sola e che si chiama identità online, più facile da controllare. Il presente mi spaventa, perché il primo scopo delle dittature è distruggere la vita privata, far in modo che non esista. Le storie d’amore sono sovversive perché sono atti privati: la politica è nemica dell’amore; soprattutto ora».
C’è anche una ragione letteraria?
«Sì: la narrativa anglosassone soffre di solipsismo. La critica dichiara che il romanzo è morto, e che si possa parlare soltanto della propria esperienza perché l’unica a possedere autenticità. È il tempo dei selfie letterari. È un errore, perché se la politica diventa una fiction che cerca di nascondere le verità più importanti, dobbiamo essere noi a tirarle fuori. Con Prima persona ho dimostrato che scrivere un memoir corrisponde a una totale invenzione».
Nel corso della storia, Heidl riconquista una certa umanità agli occhi di Kif...
«Capita spesso di trovarci davanti a criminali che all’inizio condanniamo e basta; poi, visti da un’altra angolatura o da vicino, ricordano dei visionari. E così ci sembrano grandi persone, anche se sono la stessa, terrificante di sempre. In questo periodo storico, siamo noi a volere al potere gente così: non diamo importanza al fatto che siano criminali, c’interessiamo solo alla loro visione. È stato Karl Rove, il guru di Bush, a dichiarare nel 2004: siamo un impero e quando agiamo, noi creiamo la nostra stessa realtà. Heidl, scrivo, avrebbe potuto essere un leader del futuro. Siamo manipolati da potenti simili a Heidl. Pretendono di dire cosa sia la verità, e che non esistano alternative».
Lo scrittore deve schierarsi apertamente?
«Al contrario. Quando tutto il mondo è politicizzato e fazioso – sembra di essere tornati agli anni Trenta – lo scrittore deve sopperire alla mancanza di storie potenti che rivelino le verità nascoste. Noi cerchiamo da sempre di capire cosa succede attraverso le storie, e il romanzo è il mezzo più sofisticato. Leggere un romanzo è un atto privato e che chiede al lettore di essere parte attiva: diventa così un atto sovversivo e che si oppone all’invasione della privacy. Leggere è una terra libera, in un mondo che vuole monopolizzarci».
In Life after Death, il documentario che la BBC le ha dedicato, lei dice: Truth is Vital. La verità è vitale. È il suo motto di scrittore?
«Sì. Se un romanzo ti piace, è perché dentro senti una verità che altrimenti non si sarebbe mostrata. E che manca in quelli che non ti sono piaciuti».
 
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