Riccardo De Palo
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di Riccardo De Palo

"Ora dimmi di te", il nuovo libro di Camilleri è una lettera alla pronipote

"Ora dimmi di te", il nuovo libro di Camilleri è una lettera alla pronipote
di Riccardo De Palo
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Giovedì 30 Agosto 2018, 21:31
In "Ora dimmi di te" c'è il messaggio che Andrea Camilleri vuole consegnare ai posteri. Scritto nella forma di una lettera alla pronipote Matilda, ideale donna del futuro, il memoir appena uscito per Bompiani riesce nell'intento, non facile, di racchiudere un'esistenza in poco più di cento pagine. L'inventore del personaggio del commissario Montalbano, il bisnonno giunto sulla soglia dei 93 anni (il compleanno è prossimo: il 6 settembre) lascia per un po' i gialli ambientati in Sicilia e apre il libro dei ricordi: i figli dei contadini di Porto Empedocle che arrivano a scuola con le scarpe appese sulle spalle, e se le mettono solo per entrare in classe, per non consumarle; la lettera che il bambino a dieci anni scrive a Mussolini, per chiedergli di poter andare in guerra da volontario, e la risposta che lo raggela: «Sei troppo giovane»; le parole del padre : «Tu non devi credere a queste sciocchezze sugli ebrei; gli ebrei non hanno nulla di diverso da noi» che gli apre gli occhi sul fascismo.

Forse non c'è altro modo, per raccontarsi, che riepilogare («alla cieca», come scrive con autoironia lo scrittore ormai non vedente), i fatti che ci hanno formato, che sono stati essenziali per noi. La stivalata nel basso ventre del gerarca Pavolini, a teatro, lo convince che la sua fede nel regime era stato un enorme errore; poi, complici le letture di Malraux e Marx, Camilleri raggiunge il campo opposto, il comunismo. Cercando quello che Roland Barthes definì sapere-sapore, scopre che la scuola gli va stretta, non gli basta più. Lo scrittore di successo di oggi ricorda i tormenti della fame di ieri, quando a Roma - cacciato dall'Accademia di arte drammatica Silvio D'Amico perché sorpreso a fare all'amore con un'allieva - è costretto a vivere di espedienti.

La fame non era certo, per il futuro cantore di Vigata, la stessa di Knut Hamsun, che riteneva la privazione una potentissima droga; ma Camilleri si nutriva esclusivamente di cappuccini e brioche, così che, da magro, diventò magrissimo. Per fortuna arrivarono in seguito molti lavori, dalla Rai (che dapprima gli chiuse le porte perché considerato pericoloso comunista) alle regie teatrali. Solo più di recente, ma questa è storia nota, i romanzi e le serie tv.

Alcuni aneddoti sembrano presi da film: il matrimonio con Rosetta, la donna che lo accompagna da sessant'anni, che per errore sull'altare cerca di infilare l'anello al dito del prete, che si ritrae inorridito; la sparatoria di mafia in cui si ritrova con orrore - tornato nel suo paese siciliano, nel 1986 - con tanto di bottiglie di whisky crivellate dai proiettili.

«Non credo - scrive - di essere un grande scrittore. In Italia si ha l'ambizione di creare cattedrali, a me piace invece costruire piccole disadorne chiesette di campagna». Sull'uso del siciliano nei romanzi cita Pirandello: la lingua per esprimere il concetto, il dialetto per il sentimento. Nel ripercorrere la storia d'Italia ricorda l'attuale crisi dell'immigrazione: «Alzare muri - sottolinea - significa chiudersi in casa con lo stesso nemico». Ma il vero messaggio che Camilleri vuole trasmettere alle future generazioni (così come ai contemporanei) è fare tabula rasa, non fidarsi mai delle apparenze. «Noi - scrive - oggi siamo dei morti che camminano». Perché «Le nostre idee, le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro».
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