Rosetta Cucchi: «Con l'Adina di Rossini per scherzare sull'ossessione del matrimonio»

Adina dal 12 agosto al Rossini Opera Festival. Regia di Rosetta Cucchi, con Lisetta Oropesa
di Simona Antonucci
4 Minuti di Lettura
Sabato 11 Agosto 2018, 15:38 - Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 10:19

«L’oggetto del desiderio non è più l’uomo da sposare, ma la torta nuziale». Rosetta Cucchi ha l’ironia di Rossini nel sangue. Nata a Pesaro, musicista, carriera in giro per il mondo, Cucchi torna nella sua città per firmare la regia di Adina: uno dei titoli in cartellone della nuova e particolarmente attesa edizione del Rof, festival dedicato al grande compositore, di cui quest’anno ricorre il 150esimo anniversario della morte.
 

 

Dall’11 al 23 agosto tre le opere in cartellone, Ricciardo e Zoraide, il Barbiere di Siviglia e appunto Adina, farsa rossiniana che racconta la storia di un califfo che vorrebbe sposare la sua bella schiava Adina, ma lei tentenna perché ancora innamorata del suo perduto Selimo. Che naturalmente ricompare dal nulla, proprio alla vigilia delle nozze... Per assicurare un esilarante lieto fine. «Se non si fa un matrimonio, se ne fa un altro, l’importante è la festa», racconta Cucchi che debutta il 12 agosto (repliche il 15, il 18 e il 21) con Diego Matheuz, per la prima volta sul podio a Pesaro alla guida dell’orchestra sinfonica G. Rossini, Lisette Oropesa (nel ruolo della bella schiava Adina), Vito Priante (il Califfo) e Levy Sekgapane (l’amato Selimo).

Tra equivoci, fascino esotico e malinconia, Rosetta Cucchi trasferisce la favola dalle atmosfere profumate di Mille e una notte, all’Ottocento visionario dei film di Wes Anderson. E in una sorta di Grand Budapest Hotel, piazza una torta gigante, totem del matrimonio e della storia: sgargiante oggetto del desiderio.

E che cosa succede?

«Ho invertito il punto di vista. Invece di accompagnare gli spettatori in Oriente, tra califfi e odalische, li ho messi seduti davanti a una tazza di te, rigorosamente Earl Grey, e li ho invitati ad assumere quello sguardo un po’ coloniale dell’Inghilterra viaggiatrice che s’immergeva nell’esotico come Alice nel Paese delle Meraviglie, tra oggetti giganti e piccoli pertugi su mondi nascosti».

E come canditi, tutti dentro una torta nuziale.
«La torta così come il vestito bianco, le carrozze, i confetti e i bouquet sono al centro di programmi televisivi, argomenti di dibattito, motivo di ossessione».

Ossessione per il matrimonio?

«Dopo il ‘68, oggi si ricomincia da zero. Il matrimonio è uno status. E le nuove generazioni, i ragazzi di oggi, invece di trovare certezze dentro loro stessi, le cercano altrove. Anche nel matrimonio. Adina e Rossini ci danno la possibilità di rileggere tutto in chiave scherzosa, ironica».

E visto che non si fa un matrimonio, se ne fa un altro.
«Appunto. E la torta è il vero oggetto del desiderio. Né l’uomo, né la donna lo sono più».

L’amore “fatto a fette” come una Saint Honoré?
«L’amore in Rossini è lieve. Non superficiale, ma leggero. Le sue donne, anche se innamorate, sanno sempre che cosa vogliono. E soprattutto sanno prendersi in giro. In scena, abbiamo una cantante fantastica Lisette Oropesa che, persino nel rondò finale, sprizza ironia».

Lisette è diventata un caso, non soltanto per la sua bravura: è dimagrita 40 chili e ora è anche una sportiva. Le cantanti oggi devono avere un aspetto da top model?

«Esistono cantanti sovrappeso che sul palco sono agilissime e altre magrissime che si muovono come sacchi. Io non sono mai rigida. Certo, l’estetica è l’estetica. E certi ruoli sono più tagliati per un certo tipo di fisico. Ma l’aspetto, per me, non è mai una condizione indispensabile».

Lisette interpreterà il Rigoletto diretto da Daniele Gatti il prossimo dicembre per l’inaugurazione del Costanzi. Ha sentito delle accuse di molestie al maestro?
«Mi dispiace molto. Lo conosco da anni».
Le molestie nel mondo della musica classica sono frequenti come nel mondo del cinema?
«Io non sono proprio una top model. Forse è per questo che a me non è mai successo nulla. E non ho storie da raccontare».

Più che un problema legato alla bellezza, la molestia è una forma malata di esercitare il potere.
«Certamente.
Ma dall’altra parte ci sono donne, o uomini, che al fascino del potere non vogliono resistere. Io sono dalla parte delle donne, sempre. Ho combattuto più dei miei colleghi maschi per andare avanti nel lavoro. E quindi approvo e sostengo ogni forma di denuncia e di outing. Ma sarebbe carino, una volta, raccontare non soltanto di maestri che si presentano nei camerini delle cantanti o delle musiciste, ma anche di cantanti e musiciste, o musicisti, che bussano negli studi dei direttori d’orchestra o dei sovrintendenti». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA