La rivoluzione digitale più veloce delle leggi

di Serena Sileoni
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Venerdì 10 Agosto 2018, 00:28
Potrebbe esistere una Silicon Valley in Europa? Di fronte alla rivoluzione digitale, i sistemi giuridici si trovano a un bivio: creare un ambiente ospitale agli imprenditori che, a loro rischio e profitto, creano innovazione, accettando la sfida di guardare insieme quali incognite essa porta; oppure proteggere il mondo così com’è dal mondo come potrebbe diventare.

L’Unione europea, rispetto all’economia digitale, sembra orientata a percorrere la seconda strada.
Dal tentativo di introdurre una web tax alla pianificazione di una strategia per il mercato digitale passando per la vigilanza antitrust, sembra che a Bruxelles si sia scelto di evitare che, almeno nel nostro continente, le grandi imprese del digitale siano grandi di per sé, al di là dell’apprezzamento dei consumatori: quali che siano le loro preferenze o il loro grado di soddisfazione, il presunto potere di mercato delle società fornitrici di servizi dell’economia digitale è visto, nella sua dimensione statica, come un rischio per la vitalità delle compagnie minori.

Si tratta dell’approccio più tradizionale alle questioni di antitrust, precedente, anche cronologicamente, a un approccio più attento a cogliere vantaggi e svantaggi per i consumatori, e non i potenziali danni per i concorrenti.
Pochi giorni fa, la Commissione ha irrogato a Google la più alta multa mai comminata per violazione delle norme sulla concorrenza. Google, secondo la Commissione, avrebbe condotto pratiche anticoncorrenziali stringendo accordi di esclusiva con i produttori di telefonini che avessero voluto offrire il sistema operativo Android, di proprietà Google, in particolare vincolandoli all’installazione di altre applicazioni di Google. In questo modo, la società avrebbe ostacolato lo sviluppo di sistemi operativi concorrenziali. 

Nessuno, nemmeno la Commissione, può sapere se, quante e quali occasioni di mercato sono mancate a causa degli accordi commerciali di Google o sono avvenute nonostante questi; e nemmeno se, quante e quali occasioni si svilupperanno grazie a questa decisione o grazie alla semplice innovazione.
Nel 2004, Monti, allora commissario europeo alla concorrenza, si intestò una esosa multa a Microsoft per abuso di posizione dominante per un caso simile a quello di Google, relativo però ai sistemi operativi dei pc.
Come allora, non sembra di aver sentito oggi alcuna voce dei consumatori lamentarsi della funzionalità dei sistemi operativi. 
Come allora Windows funzionava sul 90% dei computer, oggi Android gira sull’80% dei telefonini. Oggi, le persone accedono a internet sempre più da device leggeri come gli smartphone che dai computer. L’allora Golia ha ridotto il suo presunto potere di mercato perché il mercato, non la Commissione, lo ha sfidato.
Naturalmente, le intenzioni dell’antitrust sono le migliori possibili, ma più i settori di mercato sono innovativi più esse si dimostrano fallaci e, per molto aspetti, persino paradossali. 
Se, infatti, il potere di mercato di Microsoft fosse calato grazie, e non a prescindere, dalla multa del 2004, ne dovremmo ricavare che è stato quel ridimensionamento a far nascere altri Golia, come Google oggi. 
Il fatto è che, pur con le migliori intenzioni, le istituzioni che controllano l’equità del mercato non possono, anche volendo, coglierne la dinamicità, specie in settori fortemente innovativi. Pensare di poterlo fare e di poter quindi controllare che, nel loro evolvere, essi assicurino una concorrenza «equa» rischia di avere un effetto boomerang per l’economia, specie laddove i consumatori non hanno richiesto alcuna protezione. 
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