Già nel gennaio 2016 c’era stata l’archiviazione: un presunto coinvolgimento della criminalità organizzata era destituito del «benché minimo fondamento». Lo spunto investigativo era nato dalle dichiarazioni della fidanzata di un pentito di ’Ndrangheta, secondo cui Roberto sarebbe stato ucciso per uno scambio di persona da alcuni pregiudicati calabresi. L’avvocato Marilena Mecchi, legale della famiglia Straccia, ha presentato ricorso in Cassazione per due motivi. Il primo: ad aprile dello scorso anno il gip ha archiviato il caso de plano, ovvero senza fissare udienza per discutere l’opposizione presentata dai genitori del ragazzo. La seconda questione: considerate le parole di un pentito sul coinvolgimento di clan organizzati, la vicenda sarebbe di competenza della Direzione distrettuale antimafia dell’Aquila. Ma il ricorso, per la prima sezione penale della Cassazione, è «palesemente infondato».
Più nello specifico: «Il giudice di Pescara ha motivato la sua decisione sulla base della mancanza di novità degli atti di indagine indicati dalla persona offesa (il padre di Roberto; ndr). In effetti, nell’atto di opposizione, il difensore di Mario Straccia non indicava in modo specifico l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova; chiedeva, piuttosto, di svolgere “indagini sulla base della documentazione offerta”, non specificamente indicate». Tutto questo, secondo la Cassazione, «ha reso inammissibile l’opposizione e ha legittimato l’ordinanza de plano da parte del giudice di Pescara». Mario Straccia è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e di duemila euro alla cassa delle ammende.
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