La frenata del Pil/ Il Paese che rallenta perché malato d’incertezza

di Romano Prodi
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Domenica 5 Agosto 2018, 00:05
Gli ultimi dati sull’andamento dell’economia europea e le analisi sul suo futuro sono concordi nel prevedere un rallentamento della crescita che, solo un semestre fa, sembrava avere davanti a se un lungo periodo di sostenuta continuità. Quest’evoluzione non ci ha sorpreso perché è la logica conseguenza delle tensioni politiche che stanno mettendo a rischio il futuro del commercio internazionale che, per anni, ha trascinato lo sviluppo economico. Nemmeno ci possiamo purtroppo sorprendere di trovare ancora una volta l’Italia in coda in Europa e ultima, a notevole distanza, tra i grandi paesi europei. Anche il calo di velocità è superiore alle attese. La crescita quest’anno non supererà l’1,1%: stiamo cioè rapidamente ritornando verso il così detestato “zero virgola”.

È un fenomeno che, pur con qualche oscillazione, si ripete da dieci anni e che ci trova nella incredibile situazione per cui il nostro Prodotto Interno Lordo è oggi il 5,4% in meno rispetto al massimo storico del primo trimestre del 2008. All’inizio del 2013 Italia e Spagna avevano entrambe perso il 10% del loro Pil rispetto all’inizio della crisi. Ora la Spagna è cinque punti sopra e noi cinque sotto. E nemmeno possiamo dare la colpa solo all’austerità (che pure ha reso la nostra situazione più difficile) perché, nel frattempo, la Spagna ha proceduto ad una riduzione del proprio debito pubblico. 

Non possiamo nemmeno incolpare l’Euro perché anche la Spagna è membro dell’Euro e non ha nemmeno il cospicuo attivo della bilancia commerciale dell’Italia. E nemmeno possiamo gettare la croce sul sistema scolastico, che pure è l’elemento che più di ogni altro influenza la crescita a lungo termine di un paese. È vero che le nostre Università hanno visto calare gli studenti durante la crisi e che le nostre scuole tecniche contano un decimo degli studenti che un paese a forte base industriale come l’Italia dovrebbe avere. Ma è tuttavia altrettanto vero che continuiamo a esportare una buona parte di nostri laureati che non trovano lavoro in Italia: il fatto che, nello scorso anno, abbiamo visto emigrare sessantamila specialisti solo in Germania senza importarne nessuno supera l’incredibile. 

Cerchiamo perciò di trovare una spiegazione, seppure parziale e indicativa, della nostra ormai endemica perdita di velocità rispetto agli altri paesi europei. Io penso che la spiegazione possa riassumersi in una parola sola: l’incertezza. Un’incertezza che produce inaffidabilità e che quindi paralizza ogni azione.
Incertezza prima di tutto nelle decisioni politiche: le leggi sono inutilmente complicate e perciò di difficile interpretazione. Non si sa quanto durano e cosa venga dopo. 

Incertezza nella loro applicazione per cui non solo le controversie giuridiche durano una quantità di tempo fuori misura ma non si sa mai quali principi e quali criteri vengono applicati. Incertezza che deriva dall’aumento della complessità dei processi decisionali per cui, per rendere operativa una decisione, occorre una molteplicità senza fine di assensi di istituzioni politiche, di strutture amministrative e di autorità di controllo non coordinate fra di loro e tra le quali è impossibile stabilire una chiara gerarchia. Tutti i problemi che abbiamo oggi sul tavolo, dalla Tav all’Ilva, dalla Tap a tutte le grandi opere stradali e ferroviarie soffrono di questa incertezza sulle norme e sulla loro applicazione. Soffrono gli imprenditori che debbono investire e i giovani che vorrebbero dirigersi verso l’insegnamento, la ricerca o qualsiasi impiego pubblico ma che non sanno quali sono le regole e le aspettative. <HS9>Un’incertezza che spesso distrugge gli anni creativi di una persona, di una struttura economica o di una intera comunità. Incertezza che necessariamente scoraggia le innovazioni, le azioni e le decisioni. Incertezza figlia di una struttura di potere per cui ognuno dei molteplici decisori o giudici può bloccare tutto.

Questo spiega il comportamento degli operatori stranieri nei confronti dell’Italia. Essi comprano tutto quello che è comprabile perché, nonostante tutto, rimaniamo rilevanti in termini di reddito e di potere di mercato. Essi però non costruiscono nulla di nuovo. <HS9>Abbiamo imprese straniere proiettate ad assumere la gestione delle nostre autostrade ma nessuna concorre agli appalti per la loro realizzazione. Inneggiamo da anni alle grandi collaborazioni fra pubblico e privato ma di reali collaborazioni non se ne vede l’ombra: l’incertezza delle regole e dei comportamenti le rende irrealizzabili.

Le promesse mirabolanti e impossibili dei governi rendono naturalmente ancora più gravi le conseguenze dell’incertezza perché tutti sanno che tali promesse non possono concretizzarsi ma nessuno sa da quali decisioni saranno sostituite. Per fare riprendere la crescita cerchiamo quindi semplicemente di porre fine all’incertezza con un po’ di prevedibilità. Con regole chiare e applicate con altrettanta chiarezza, delle quali, per ora, non vedo alcuna premessa.
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