Mattarella in Armenia evita la parola genocidio, prima visita di Stato di un presidente italiano

Mattarella in Armenia evita la parola genocidio, prima visita di Stato di un presidente italiano
di Franca Giansoldati
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Martedì 31 Luglio 2018, 18:50
Yerevan – La fiamma nel braciere arde perenne a ricordo di un milione e mezzo di armeni, cristiani, vittime del primo genocidio del Novecento, avvenuto 103 anni fa sotto l'Impero Ottomano. Il presidente italiano Sergio Mattarella stamattina ha deposto una corona di fiori a Tsitsernakaberd, la Collina delle Rondini, dove è stato eretto negli anni Sessanta il memoriale del genocidio, tappa obbligata per tutti i capi di Stato che arrivano a Yerevan. E' la prima visita di Stato in Armenia di un presidente italiano ma nei discorsi di Mattarella si è evitato accuratamente la parola «genocidio», probabilmente per non urtare la Turchia, anche se naturalmente si è parlato di pace e di riconciliazione in un'area del mondo ancora turbolenta e sottoposta a tante pressioni.

Poi Mattarella, nel parco della Memoria, ha piantato anche un albero, esattamente come hanno fatto Giovanni Paolo II e Papa Francesco durante le loro visite (ma facendo menzione dei fatti genocidiari e chiamandoli con il loro nome). In compenso, stavolta, sono stati evocati i legami di amicizia tra i due Paesi che hanno fatto fare un balzo al capitolo del commercio che ammonta a 70,8 millioni di dollari, praticamente un aumento del 42,6% rispetto l'anno scorso. I rapporti vanno a gonfie vele. «Oggi piantando un albero nel parco
 della memoria, abbiamo messo una targa che auspica che dalle
sofferenze del passato emerga insuperabile e forte la spinta
alla pace e alla collaborazione tra i popoli e tra gli stati in
futuro. Mi auguro che queste lezioni della storia vengano sempre
comprese e tenute a mente» ha detto il presidente 
Mattarella, sorvolando sulla dolorosa pagina storica costata la vita a 1 milione e mezzo di persone tra il 1915 e il 1920, attraverso deportazioni in massa nel deserto,  campi di concentramento e gli svuotamenti di intere aree abitate dalla minoranza armena, i cui beni furono poi incamerati con una legge approvata in quegli anni dal parlamento ottomano.

Nel pomeriggio la visita di Stato di Mattarella è proseguita, includendo una tappa ad Etchimiadzin, sede del Catholicos, Karekin II. Anche lì nessun cenno del riconoscimento esplicito del genocidio, né delle comuni radici cristiane. «Armenia e Italia sono legate da un rapporto
particolare, visto che sono due paesi portatori di civiltà 
antiche». Ha parlato solo di civiltà antiche, un implicito riferimento al fatto che l'Armenia è stato il primo paese al mondo ad abbracciare il cristianesimo, ancora prima dell'Editto di Costantino, più di 1700 anni fa. «Questo le rende più capaci di intendere i processi, i
fenomeni e i passaggi della storia e di interpretarla
adeguatamente. Ma ciò comporta anche - ha aggiunto il capo dello
Stato da Yerevan - la responsabilità di trasmettere quella
sensibilità  nella comunità internazionale. E’ insieme un
patrimonio e una responsabilità».

La visita di Mattarella cade in un periodo molto tribolato per la politica interna armena. Dopo la vittoria del premier Pachinian, nel maggio scorso, è iniziato una specie di terremoto che ha dato origine a massicce manifestazioni di piazza – la cosidetta rivoluzione di velluto – e a una sorta di Mani Pulite, visto che il nuovo governo vuole perseguire i vecchi episodi di corruzione. Il Premier Nikol Pachinian, un giornalista di 44 anni, finito in carcere dieci anni fa e tornato ora a fare politica, si vanta di avere già recuperato 36 milioni di euro, attraverso inchieste giudiziare piuttosto rapide. In quest'ondata giustizialista sono finiti in carcere anche politici, tecnocrati e generali mentre il consenso popolare di Pachinian continua a salire.

Uno dei suoi motti preferiti è: «bisogna trovare ciascun centesimo rubato». La predicazione contro le elite gli continua ad assicurare una piattaforma sicura sulla quale poggiare la sua azione. Ma il modo sbrigativo di procedere a liquidare la vecchia guardia sta creando non pochi problemi, anche in politica estera. Qualche giorno fa è stato arrestato il generale armeno Yuri Khachaturov, segretario dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) un'alleanza difensiva tipo la Nato ma controllata dalla russia, composta da sei nazioni appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti. Dell'arresto del generale non era stata minimamente informata Mosca e questo ha contribuito a creare malumori e proteste da parte del Cremlino. 
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