«NESSUNO HA VIGILATO»
Dopo un’istruttoria di sei mesi, l’Anac ha ricostruito la spirale della crisi che ha portato la più grande partecipata dei trasporti d’Italia a un’incollatura dalla bancarotta. Un’azienda che ha divorato miliardi di soldi pubblici per anni, senza che nessuno, in Campidoglio, controllasse davvero come venissero spesi. Questo sostengono gli esperti dell’Ufficio “Vigilanza sulle concessioni dei servizi” dell’Autorità, denunciando una «inerzia amministrativa pluriennale», una negligenza «che ha inficiato ogni principio alla base della contrattualistica pubblica», dove il compito di un buon amministratore locale sarebbe quello di verificare che «la distribuzione delle risorse sia trasparente, efficace ed efficiente».
Invece a Palazzo Senatorio, secondo l’Anticorruzione, nessuno ha davvero «fronteggiato» una crisi aziendale che sarebbe stata «evidente dal settembre 2010», crisi che vede il Comune stesso creditore di oltre mezzo miliardo di euro nei confronti della sua controllata. Il proprietario di Atac, cioè il Campidoglio, dovrebbe «esercitare poteri di coordinamento, vigilanza, direzione».
«INERZIA PLURIENNALE»
L’amministrazione della Capitale avrebbe però messo in atto un “controllo di carta”, annotato sulle delibere e sui contratti di servizio votati dal 2013 in poi, ma fondamentalmente mai attuato sul serio. Scrive l’Anac: «Gli evidenti sintomi di dissesto economico-finanziario dell’azienda» troverebbero «riscontro fin dagli atti del 2010, insieme al costante abbassamento dei livelli standard di erogazione del servizio», ma tutto lascia pensare, scrive il pool di Cantone, che «nonostante la sussistenza dei poteri di controllo», il Comune «non abbia provveduto a un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi o sulle proprie strutture». Sembrerebbe, scrive l’Anticorruzione, «che i controlli effettivi sulle decisioni strategiche e sulle singole decisioni di gestione si siano limitati, nel corso degli ultimi anni, a fotografare la situazione di dissesto aziendale, poi affrontata solo nel settembre 2017, col ricorso alla domanda di concordato e la contestuale estensione del contratto di servizio tra Roma Capitale e Atac» fino al 2021.
Questa proroga biennale, che la giunta M5S giudica fondamentale per evitare il fallimento del concordato e il collasso dei trasporti pubblici, è stata già bocciata dall’Antitrust, ricorda l’Anticorruzione. L’Autorità garante della concorrenza a maggio si è rivolta ai giudici amministrativi segnalando un «eccesso di potere» del Campidoglio e «il perseguimento di finalità estranee all’interesse pubblico generale», aggiungendo che le ipotesi alternative al concordato - un’amministrazione straordinaria o l’esercizio provvisorio - garantirebbero meglio la continuità dei servizi. Anche il Tribunale civile ha smontato la tesi per cui, senza il concordato, bus e metro si fermerebbero di colpo, perché trattandosi di un servizio pubblico essenziale, per legge sarebbe comunque garantito «fino al subentro di un altro soggetto aggiudicatario della gara». L’Anac ora aggiunge che la proroga avrebbe potuto essere consentita solo «nelle more dell’espletamento» di una procedura pubblica, come ha sancito la Cassazione. I prolungamenti dei contratti «sono univocamente consentiti per assicurare la transizione tra due regimi contrattuali». Invece in Campidoglio «non è dato ravvisare alcuna attività istruttoria riconducibile all’avvio» di una gara, anche se il «lasso di tempo» da qui alla fine del 2019, quando scade l’attuale affidamento, sarebbe «del tutto sufficiente - scrive l’Anticorruzione - a porre in essere quanto richiesto dal Regolamento» dell’Unione europea. Per l’Anac poi «l’intero sistema delineato dall’azienda e dal socio unico, il Comune di Roma, poggia su circostanze eccezionali, o emergenziali, non ancora verificate». Insomma sulla proroga l’Authority non può che rilevare «gravi perplessità». Una grana non da poco per Raggi e il Campidoglio, dove si è sempre sostenuto che senza il prolungamento fino al 2021 l’Atac sarebbe fallita.
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