I genitori di Giulia, precaria, scrivono a Di Maio: «Il decreto Dignità non basta»

I genitori di Giulia, precaria, scrivono a Di Maio: «Il decreto Dignità non basta»
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Venerdì 13 Luglio 2018, 18:23 - Ultimo aggiornamento: 14 Luglio, 15:10
«Caro Di Maio, vogliamo parlare con te del Decreto Dignità». Comincia così la lettera di Patrizia e Giancarlo, genitori di Giulia, 28enne precaria, al vice premier Luigi Di Maio. «Da quando nostra figlia ha iniziato a lavorare – spiega la coppia – va avanti con contratti a tempo determinato, vivendo sempre nell'angoscia del rinnovo. L'anno scorso ha deciso di andare a convivere con il suo ragazzo, ma a causa dei loro contratti da precari non sono riusciti nemmeno a ottenere una casa in affitto».

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Il decreto dignità, secondo i genitori di Giulia, non basta a scoraggiare le aziende dalle assunzioni a termine:
«Non serve diminuire il numero dei rinnovi, portarli da 5 a 4, da 3 a 2 peggiorerà solo la situazione perché alla fine dei termini stabiliti per legge gli imprenditori licenzieranno il ragazzo in questione per prendere un altro, e così via», scrivono nella missiva. «Caro Di Maio – aggiungono – vogliamo pensare sempre e solo alle aziende? Se i nostri ragazzi non possono costruirsi una vita perché vivono nel precariato, non prendono una casa in affitto, non comprano case, non fanno figli, non comprano mobili, elettrodomestici, pannolini ecc… Insomma l’economia si ferma».

Patrizia e Giancarlo vorrebbero diventare nonni: Giulia ha l'età giusta per fare figli, spiegano, ma non se lo può permettere finché non avrà un contratto a tempo indeterminato.
«Anche per pagare le pensioni di domani -spiegano - c’è bisogno che i ragazzi di oggi abbiano figli, e li faranno solo se hanno la sicurezza di uno stipendio a fine mese su cui contare».
La soluzione? Per i genitori della ragazza sta in eventuali sanzioni per le aziende e agevolazioni fiscali che possano indurre le imprese a stipulare contratti a tempo indeterminato.
«Solo così – assicurano – si potrà dare la dignità ai nostri ragazzi e renderli liberi di costruirsi una vita».
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