Se è difficile vivere da filosofi, da filosofi è ancor più difficile morire

di Roberto Gervaso
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Mercoledì 11 Luglio 2018, 17:57
Nei Dialoghi, che meglio sarebbe definire monologhi, altra opera magna di Seneca, l'autore discetta sulla clemenza del principe, i vantaggi della monarchia, le gioie della solitudine, i conforti dello studio, il superamento delle passioni.

Le tragedie, nove in tutto, di argomento leggendario greco, destinate più alla lettura che alla rappresentazione, sono le uniche rimasteci. Quelle di altri autori si sono infatti perdute.

Quando Seneca vi pose mano è difficile stabilire, mancando ogni riferimento cronologico. Secondo alcuni, le avrebbe composte in Corsica. Secondo altri, a Corte, negli anni in cui guidava l'Impero e la sua fama era all'acme.

Ciò che in essi più colpisce sono l'acuta analisi psicologica e le prescrizioni etiche dell'autore, tra i più fecondi e brillanti della sua epoca.

Furono proprio le tragedie, cui tanto s'ispirò il teatro rinascimentale, a consacrare la fama postuma di questo versatile e affascinante pensatore. E non solo fra i pagani: anche fra i cristiani. Tertulliano lo chiamò nostro. Agostino non gli lesinò lodi. Girolamo, dopo averlo annoverato fra i santi, lo cita e abbondantemente lo saccheggia.

Nel IV secolo d.C. il movimento pelagiano, l'eresia cristiana - che sopravvalutò la libertà e la volontà dell'uomo in ordine alla sua salvezza s'ispirò alla morale eroica di Seneca. Allo stesso secolo risale un celebre epistolario apocrifo fra il filosofo ideologo del crepuscolo stoico e il cristiano San Paolo.

Il Medioevo lo assunse a modello di dottrina di vita. Dante lo chiamò Seneca morale. Petrarca ne fu influenzato al punto di posporlo solo a Virgilio. Montaigne ne fece la sua stella polare. Pascal attinse a piene mani per alcune delle sue Pensées. L'americano Emerson lo imitò. Quando le SS andarono ad arrestare l'attentatore di Hitler. Ulrich von Hassel lo trovarono intento a leggere Seneca.

Dei grandi medici dell'anima nessuno ha forse saputo offrire ai propri pazienti diagnosi più acute e farmaci più efficaci. Dopo quasi venti secoli il messaggio di questo filosofo, che non sempre fece quello che consigliava agli altri, e che morì meglio di come visse, è straordinariamente attuale. Peccato che sia così scomodo. Com'è scomoda la virtù, la quale rende felici a un prezzo che pochi sono disposti a pagare.

IL MIO MANTRA
«Dio è vicino a noi, dentro di noi. Uno spirito santo risiede in noi, osservatore e custode delle nostre azioni. Dobbiamo vivere con gli uomini come se Dio ci vedesse o parlare con Dio come se gli uomini ci ascoltassero Se vedremo un uomo impavido in mezzo ai pericoli, intatto dalle passioni, felice nelle avversità, tranquillo nelle tempeste, più grande e più alto di quanto comporti la natura del miserabile corpo, sentiremo in quell'anima rivelata la forza di Dio». Seneca.

Un mantra che abbiamo fatto nostro, e che abbiamo scolpito nella coscienza. Nei momenti difficili (e quanti dardi ci hanno colpito!) ne abbiamo fatto costantemente tesoro anche noi.
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