Enrico Lucherini: «Io e Carlo Vanzina, serate e scherzi da commedia colta»

Enrico Lucherini: «Io e Carlo Vanzina, serate e scherzi da commedia colta»
di Gloria Satta
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Martedì 10 Luglio 2018, 10:46
Quando nel solotto del press agent Enrico Lucherini si tenevano i tornei di camiciaia, il gioco che consiste nel trovare personaggi famosi dotati delle stesse iniziali, tutti volevano stare in squadra con Carlo Vanzina. «Era coltissimo e informatissimo: in un baleno scovava un esercito di nomi», racconta Lucherini con le lacrime agli occhi. Il suo dolore è grande: del regista scomparso, di cui oggi alle 11 verranno celebrati i funerali a Santa Maria degli Angeli, il mitico press agent di Sofia Loren e tante altre star è stato per oltre 40 anni l'amico fraterno oltre che lo stratega promozionale pronto perfino a escogitare le famose «lucherinate», fake news d'antan. Lucherini ha lanciato, con Gianluca Pignatelli, anche l'ultima commedia di Vanzina Caccia al tesoro (ridistribuita ora da Medusa come omaggio al regista). Per la prima, Luna di miele in tre, nel 1976 organizzò una conferenza stampa piazzando sul suo divanetto con le scimmie i giovanissimi ed emozionati Carlo ed Enrico, il fratello sceneggiatore. «Faranno molta strada», profetizzò.

Come aveva conosciuto Vanzina?
«Me lo presentò il produttore Goffredo Lombardo ai tempi di Luna di miele in tre. Non ci siamo più lasciati».

Cosa le piaceva di Carlo?
«La competenza e la gentilezza, ereditata dal padre Steno. Quando la sua opera prima andò male al botteghino, per far tornare il regista sul set cofinanziai Figli delle stelle, con Alan Sorrenti. Altro flop: Carlo aveva girato un film troppo elegante rispetto ai musicarelli del tempo. Poi Arrivano i Gatti fu un successo e la sua carriera decollò».

La sua prima lucherinata per lui?
«All'anteprima milanese di Sotto il vestito niente, che attaccava il mondo della moda, piazzai i nomi degli stilisti sulle poltrone: Armani, Prada, Fiorucci, Versace... Ma mi ero ben guardato dall'invitarli e, quando le sedie rimasero vuote, dissi che avevano boicottato il film. I giornali abboccarono e il botteghino esplose».

Vanzina era d'accordo con questa... strategia?
«Certo. E si divertì molto anche quando, per lanciare I miei primi 40 anni, inventai un litigio tra Marina Ripa di Meana e Carol Alt che la interpretava».

Con gli attori che rapporto aveva?
«Lo adoravano tutti. In Il cielo in una stanza fece di Elio Germano un pariolino. Sapeva domare Faye Dunaway sul set di La partita. E ottenne da Gian Maria Volonté una delle sue migliori interpretazioni in Tre colonne in cronaca».

Andavate al cinema insieme?
«Sì, nel pomeriggio. Carlo era un cinefilo. Se avevo un dvd in anteprima, era capace di venirlo a vedere in piena notte».

Si sentiva in competizione con gli altri registi?
«Per carità. Non l'ho mai sentito parlar male di un collega nemmeno quando i critici lo esaltavano ingiustamente».

E quando invece stroncavano i suoi film si dispiaceva?
«Sì, anche se io lo esortavo a infischiarsene perché la critica non ha mai spostato gli spettatori. Il suo vero rammarico nasceva però dal fatto di non venire invitato in concorso ai festival. Avrebbe adorato andare a Venezia».

Le commedie di Vanzina trasudano lussi, soldi, vacanze da favola: era questa la vita del regista fuori dal set?
«No, la sua esistenza era scandita dall'amore per la moglie Lisa e le loro figlie e dal rapporto simbiotico con Enrico: mai visto due fratelli volersi bene come loro».

Cosa le manca di Carlo?
«Tutto. L'allegria, la signorilità, la cultura, la bontà d'animo. E l'appuntamento che prima dell'era internet ci davamo verso mezzanotte davanti al cinema Fiammetta, il cui direttore riceveva gli incassi dei film. Carlo non andava a dormire se non li conosceva. Viveva per il cinema».
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