E il cameriere? «In questo caso, le motivazioni per le quali i ragazzi non sono particolarmente attrattatti da questa posizione sono due. Primo, perchè è visto come un lavoro poco prestigioso. È bollato erroneamente come un lavoro in cui si servono gli altri e dunque con poco appeal dal punto di vista reputazionale. Ma è un grosso errore. Inoltre, il lavoro del cameriere è stato di fatto snaturato: prima il cameriere era un cuoco prestato alla sala, ora è solo un portatore di vivande. Ma per me può avere un ruolo anche più importate del cuoco, può dare il valore aggiunto come un giardino lo può dare ad una casa, può anche correggere eventuali errori in cucina, e se è bravo può essere fondamentale nel fidelizzare i clienti». Ma forse è anche una questione di stipendio e di impegno? «La busta paga può centrare fino a un certo punto, perchè camerieri qualificati posso guadagnare anche bene, più di un funzionario di banca. Ma certamente lavorare in un ristorante comporta dei grandi sacrifici, non solo in termini di orario e tempo libero, ma anche in termini fisici. Sempre più spesso i ragazzi preferiscono cogliere l’opportunità di lavorare per le grandi catene alberghiere. Costa meno sacrifici. Non è facile fare capire ai giovani che la cura e il rapporto con i clienti può dare grandi soddisfazioni. Il valore dell’accoglienza ha il suo peso. i giovani dovrebbero comprendere che devono cercare un lavoro, non un posto». Forse vanno spinte di più anche le scuole di formazione? Molta strada è stata già fatta negli ultimi anni in questo senso anche a livello politico, ma sono favorevole a una trasformazione delle scuole professionali in scuole di accoglienza. Anche un format tv sul mestiere del cameriere potrebbe dare la giusta spinta».
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