Diventata presidente di un board rinnovato al femminile, un mese fa Carlson aveva annunciato la cancellazione delle gare in costume e in abito da sera per fare sentire le voci delle donne durante «una rivoluzione culturale nel nostro Paese». Ma alcuni ex membri dell'organizzazione e alcuni responsabili della competizione nei vari stati sostengono di aver subito le pressioni della Carlson e di altri dirigenti, secondo cui l'abolizione della passerella in costume sarebbe stato un pre-requisito per la trasmissione del concorso sulla tv Abc. L'organizzazione ha negato di aver posto un aut aut, ricordando che la decisione sulla svolta era stata presa unanimemente in marzo e che l'accordo con Abc - cruciale per le precarie condizioni finanziarie del concorso - era già stato finalizzato due mesi prima. Tuttavia ha anche precisato che «c'erano estesi negoziati con una società di produzione e partner creativi in cui l'eliminazione del costume era indicato come un pre-requisito per collaborare».
Abc comunque si è tirata fuori dalle polemiche precisando che aveva già l'accordo per trasmettere la prossima edizione e che non ha «nulla a che fare» con la svolta sul costume.
La decisione ha diviso anche il gruppo generalmente affiatato delle ex Miss America: 29 hanno diffuso un comunicato a sostegno della Carlson e del suo team, mentre una dozzina non ha aderito, come Ericka Dunlap: «questo grande dissenso significa chiaramente che dobbiamo fare alcuni importanti cambiamenti o non avremo Miss America». E pensare che il concorso nacque nel 1921 come competizione in costume, in un periodo in cui esibire il proprio corpo era considerato per le donne una cosa moderna, liberatrice.
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