La mossa europea/ Harley e jeans Levi’s, prezzi in aumento. Ecco i dazi agli Usa

di Oscar Giannino
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Sabato 23 Giugno 2018, 00:05
È in vigore da ieri la risposta europea ai dazi decisi dal presidente Trump del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio. La risposta europea è meno che proporzionale. La quota di acciaio e alluminio gravata dall’aumento dei dazi Usa è infatti superiore.

La quota di acciaio e alluminio gravata dall’aumento dei dazi Usa è infatti pari a circa 6,4 miliardi di export negli States, di cui 0,8 miliardi dall’Italia pari solo allo 0,2% del totale del nostro export manifatturiero. Ma questi dazi ci colpiscono indirettamente, attraverso la Germania, primo esportatore europeo negli Usa di acciaio e alluminio, che ha assorbito però nel 2017 circa 4,6 miliardi di nostro export di acciaio e alluminio. La risposta europea è fatta di misure di riequilibrio parziale, alzando i dazi in un primo tempo per una lista di prodotti importati dagli Usa per circa 2,8 miliardi come acciaio, barche, moto come la Harley Davidson, prodotti agricoli come mais e tabacco, alimentari come il burro di arachidi, e distillati come il bourbon. 

Nei tre anni successivi, l’Europa si riserva di adottare misure per altri 3,6 miliardi di import americano, se Washington non cambia linea, e se non avranno esito positivo tutte le azioni intentate nel frattempo dalla Ue contro gli Usa presso l’Organizzazione nondiale del commercio. In quel caso gli esportatori italiani – cioè in primis il gruppo Fca, e insieme a lui l’intera filiera della componentistica automotive italiana che fornisce tutti i maggiori gruppi dell’auto germanici - sarebbero i più colpiti insieme a quelli tedeschi. Gli Stati Uniti, infatti, rappresentano il terzo mercato di sbocco per l’export manifatturiero italiano, con un valore di 40,1 miliardi di euro nel 2017 (9,3% del totale) e il primo per surplus commerciale, con un ammontare pari a 27,5 miliardi di euro (96,7 miliardi l’avanzo complessivo italiano). In particolare, il 23% dell’export industriale italiano negli Stati Uniti è costituito da mezzi di trasporto, il 18,7% da macchinari, il 10,1% da alimentari e bevande e il 9,5% da tessile, abbigliamento e calzaturiero. Un’eventuale mazzata daziaria americana sull’auto graverebbe su 9 miliardi di export nostrano diretto agli Usa, e per un valore molto superiore, fino a 15-17 miliardi, sulla componentistica italiana assemblata nelle vetture tedesche del settore premium. Per questo la partita che deve giocare il governo italiano è molto delicata. 
Si tratta di non assecondare la tentazione della cancelliera Merkel di rispondere a muso duro a Trump, e di allinearsi invece alla ragionevolezza in primis manifestata proprio dai produttori tedeschi di auto, VW-Audi, Daimler-Mercedes e Bmw, che hanno già illustrato al governo di Berlino una via opposta allo scontro muscolare: perché non proporre subito a Trump la riduzione dei sette punti percentuali e mezzo di maggiori dazi europei sulle auto prodotte in Usa, rispetto ai dazi americani oggi vigenti su quelle importate dall’Europa? 

Sarebbe una scelta saggia. Leverebbe a Trump l’argomento del maggior protezionismo europeo, che oggi è un dato di fatto nel settore auto. E bloccherebbe sul nascere un attacco all’auto europea e italiana che sarebbe molto temibile. Già la Daimler tedesca ha lanciato un profit warning sui risultati di bilancio attesi per il 2018, a seguito dei dazi americani. Perché intanto le case tedesche sono già morse dolorosamente dai doppi dazi che Usa e Cina hanno reciprocamente adottato nel loro scontro commerciale diretto, e che riguardano anche l’auto. La tedesca Bmw è oggi la prima casa automobilistica esportatrice dagli Usa, e il 70% della sua produzione americana viene esportata in Cina ed Europa. 

E sta rapidamente riattrezzandosi per produrre il suo Suv X3 destinato in Cina non più negli Usa, ma in Sud Africa proprio per aggirare i maggiori dazi cinesi in replica a quelli americani. Per le sole Bmw e Mercedes, i doppi dazi Usa-Cina sull’auto comportano danni su uno scambio reciproco tra i due paesi pari a circa 6 miliardi di dollari. Ma se si andasse poi alla guerra dei dazi tra le due sponde dell’Atlantico, nel mirino di Trump ci sono 1,2 milioni di auto tedesche che nel 2017 sono state importate sul mercato Usa. Come arma per ridurre i circa 150 miliardi di surplus commerciale complessivo realizzato dalla Ue negli Usa. Se l’Italia resta in mezzo all’escalation dello scontro sull’auto tra Trump e Merkel, la nostra componentistica rischia un colpo basso che è assolutamente meglio evitare.
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