Clan Di Silvio, una struttura piramidale con ruoli definiti. Nulla era lasciato al caso

Clan Di Silvio, una struttura piramidale con ruoli definiti. Nulla era lasciato al caso
di Marco Cusumano e Laura Pesino
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 13 Giugno 2018, 17:12
C'è una precisa gerarchia di potere all'interno del clan, una tacita organizzazione interna che regola i rapporti di forza e stabilisce chi comanda e chi esegue. E ci sono poi stretti legami di parentela tra gli indagati che consolidano gli affari e rendono più stretto il vincolo, con un ruolo per tutti.

Il vertice è Armando Di Silvio, per tutti Lallà. E' lui a gestire la cupola, a offrire protezione ai membri della famiglia, a stabilire se un affare è buono o non lo è, se la vittima prescelta per un'estorsione è quella giusta oppure no. Al suo fianco c'è sempre Riccardo Agostino, detto Balò, l'unico non rom che nel tempo ha scalato la piramide del potere fino ad acquisire quasi un ruolo di primo piano. 

Ci sono i tre figli del boss Ferdinando Pupetto, Gianluca e Samuele, il genero Federico Arcieri, compagno della figlia Genoveffa Sara Di Silvio, e poi la moglie Sabina De Rosa. Sono loro i sette indagati a cui viene contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, i cui affari sono stati ricostruiti anche grazie alle dichiarazioni rese da Renato Pugliese, diventato dopo l'arresto degli anni scorsi un collaboratore di giustizia. Una telecamera installata fuori dell'abitazione del capoclan ha ripreso con cadenza quasi quotidiana le riunioni del gruppo di comando: incontri in cui si decidevano strategie, si pianificavano affari, si proponevano idee da sottoporre al vaglio di Lallà. Le iniziative arrivavano soprattutto da Riccardo Agostino, che era ormai pratico nell'agganciare le vittime delle estorsioni e nel gestire direttamente il business: a volte era un recupero crediti, altre volte il pizzo da chiedere a commercianti e imprenditori.

Per il gruppo passava anche la gestione del traffico di stupefacenti, la cui preparazione, confezionamento e spaccio era invece opera delle donne della famiglia, le operaie della droga: Angela Di Silvio, compagna di Samuele, Giulia Di Silvio, compagna di Pupetto, Genoveffa Sara Di Silvio e Francesca De Rosa, coordinate dalla moglie del capo. In ultimo, i soldati della droga: Valentina Travali, Mohamed Jandoubi, Hacene Ounissi detto Hassan, Ismail El Ghayesh, Daniele Sicignano, Gianfranco Mastracci e Tiziano Cesari. Tutti incaricati di rifornire le principali piazze di spaccio cittadine, dalla zona dei pub a Latina Scalo e al quartiere Nicolosi, assicurandosi che la droga in circolazione fosse rigorosamente quella del clan.

IL GIP: CARATURA CRIMINALE ECCEZIONALE
La forza del clan si racchiude nelle parole del pentito Renato Pugliese: «A Latina ci sono molte persone che cercano protezione, che vogliono avere la possibilità di spendere un nome in caso di difficoltà. La protezione la chiedono tutti, persone di strada o persone normali. Nel bar dove va Ferdinando Di Silvio spesso gli offrono da bere o non gli fanno pagare i cocktail. Ma se il titolare ha bisogno di aiuto perché qualcuno ha un problema, chiama Ferdinando Di Silvio e non le guardie. Questo probabilmente è il motivo per cui le persone denunciano poco, fin quando non intervengono problemi più grossi...». 

E quei problemi arrivano sempre, trasformando una protezione apparente in sottomissione al clan. L'organizzazione dei Di Silvio è tale da far paura, non solo nell'ambiente criminale, ma anche all'esterno. Il giudice Antonella Minunni, nell'ordinanza di custodia cautelare, sottolinea la pericolosità del gruppo, mettendo in evidenza «l'abilità tecnica, la spregiudicatezza e la scaltrezza degli indagati dimostrate in ogni iniziativa intrapresa». 
Le esigenze cautelari del carcere sono «fondate su un elevato coefficiente di pericolosità criminale degli indagati».

Di fronte alle difficoltà che ogni gruppo criminale incontra nella propria attività, i Di Silvio riescono sempre a «superare momenti di impasse o di parziale sfaldamento della compagine di appartenenza, riorganizzandosi rapidamente e nuovamente proponendosi nella loro funzione operativa».

Il ruolo di Armando Di Silvio come capo indiscusso del clan emerge dalla descrizione del gip: «Ha una caratura criminale davvero eccezionale: è lui che risolve le questione insorte all'interno della consorteria, che decide la ripartizione dei profitti illeciti, che valuta gli investimenti attraverso i prestanome». 

Altro ruolo di spicco è senz'altro quello di Agostino Riccardo: «Un soggetto dalla spiccata capacità a delinquere, con un ruolo centrale nella pianificazione delle estorsioni». La determinazione di Riccardo è confermata dal passaggio dal gruppo dei Travali (operante nel settore della droga) al gruppo Di Silvio di Campo Boario. «Il suo valore aggiunto nel gruppo - scrive il giudice - è di non appartenere all'etnia rom e quindi di potersi interfacciare, per conto dei Di Silvio, con maggiore facilità con i più diversi soggetti della società civile». 

Nulla era lasciato al caso.


 
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