Ernesto Franco (Einaudi) al Memoria Festival: «Senza ricordi non avremo futuro»

Ernesto Franco (Einaudi) al Memoria Festival: «Senza ricordi non avremo futuro»
di Renato Minore
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Domenica 10 Giugno 2018, 22:57
La prodigiosa memoria di Giovanni Pico della Mirandola è proverbiale, e così l’umanista è stato il nume tutelare della seconda edizione di “Memoria Festival”, che si è concluso oggi a Mirandola, promossa dal Consorzio del Festival della Memoria in collaborazione con l’editore Einaudi. Tra le piazze, le vie, i portici, i giardini e i palazzi della città, sono in scena tra gli altri Alessandro Bodei, Paolo Giordano, Michel Gotor Alessandro Fo, Anna Galiena spaziando fra discipline e temi diversi, sempre in dialogo reciproco intorno alla memoria. Sul tema del festival parliamo con il presidente del Comitato Scientifico, Ernesto Franco, lo scrittore che è direttore editoriale della Einaudi.

Si dice che il nostro è ormai un tempo senza memoria, tutto azzerato dall’eterno brusio online. Quanto è importante ragionare, interrogarsi sulla memoria nei diversi campi, letteratura scienza attualità?
«La memoria è l’unica garanzia del futuro non perché il futuro sia legato al passato. Se la intendo come potenza, non solo come sguardo rivolto indietro ma sulla costituzione del futuro, il terzo tempo che è il presente acquista uno spessore e una prospettiva verso il futuro. Così il presente è respirare, non sopravvivere, è una dimensione magari utopica: conoscendo il passato e il futuro, con l’articolazione di queste due prospettive, hai un presente consapevole. Lo smemorato vive il presente, c’è precipitato, con la stessa consapevolezza di un animale, di un albero».

C’è l’intenzione di far conoscere di più la figura di Pico, uomo di mondo e “dilettante di genio”, una sorta di ospite illustre e scomodo della cultura italiana?
«Eccentrico già agli occhi dei contemporanei, è sempre stato un pensatore difficile da collocare. Certo: c’è la leggenda sull’uomo che persiste, ma è uno di quegli umanisti, come lo ha descritto Cacciari, tra destino e tradizione. Faceva i conti con la propria epoca e le sue tante tensioni e le vedeva in modo problematico. Niente di più estraneo dalla versione apollinea dell’umanista. Veniva dalla battaglia per il pensiero e per la fermezza contro il servilismo dei potenti».

Quella di Mirandola è la ricerca di una memoria allargata, senza confini?
«Il festival è organizzato per cerchi per un richiamo ai "cerchi della conversazione" di cui parla un grande filosofo come Ralph Waldo Emerson, cerchi di attenzione che si ampliano a mano a mano: come il sasso in acqua disegna cerchi che si allargano, così la conversazione a poco a poco si allarga e si approfondisce. Con un comprendere, racchiudere e capire sempre più allargato che non riguarda solo la storia, ma le scienze cognitive,la biologia e l’uomo la prospettiva di futuro. E la defaillance della memoria».

Un aspetto molto presente nel cartellone degli incontri è il rapporto tra storia e memoria. Un rapporto tra accadimenti e ricordi spesso controverso, con i traumi della memoria di cui parla oggi Bodei.
«C’è stato anche anche Corrado Barberis con il suo l’intervento sulla falsa testimonianza della Shoah. Quello che si tenta di scardinare è l’accettazione dei luoghi comuni anche quando possono essere consolatori. E’il lavoro della conoscenza: capire in profondità di cosa si sta parlando nel momento in cui le parole sembrano che abbiano significati volatili. Un’avventura del pensiero, ma non dei filosofi, ma dell’uomo quotidiano».

C’è poi la memoria nella scienza con argomenti di grande fascino come quello sulla memoria dell’universo.
«A questa conoscenza può arrivare anche il lettore non specializzato con libri che spiegano non le singole opportunità della tecnologia, ma si interrogano sulle domande fondamentali della scienza. E completano la visione del mondo quanto i romanzi importanti e i saggi. Che aiutano riflettere e conoscere non il passato, il presente o il futuro , ma il nostro percorso».

Lei è direttore editoriale, scrittore, ha un osservatorio privilegiato. Si dice che molti scrittori e poeti contemporanei sono senza memoria, non si muovono nella conoscenza della tradizione? È così per lei?
«Ogni scrittore, diceva Borges, crea la propria tradizione. Magari sono percorsi non classici, tour per molte strade e non percorrendo autostrade. Ma è inevitabile che si pongano all’interno di un percorso di letteratura storia tradizione di cui si considera l’esponente contemporaneo il primo lettore».

Si dice che i festival creano un pubblico di ascoltatori che non sono o diventano lettori. I lettori diminuiscono, i festival aumentano?
«Gli scrittori che hanno grande successo confermano i lettori forti. E in ogni caso con i festival si conferma il rapporto fondamentale della lettura, da Petrarca in avanti: un rapporto di amicizia, la volontà di ascoltare la voce che è una parte del corpo di un autore. L’incarnazione dell’atto di lettura che di solito si fa da soli, si compie al contrario con presenza fisica dell’autore a cui puoi parlare, puoi sentire l’intonazione della voce, le sue digressioni. È la forza innegabile di queste occasioni che tra l’altro testimoniano ancora una volta la vivacità dei mille nostri paesi e città».
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