L'inventore: «Uscito dal coma ho deciso: creo un gioco a quiz per ragazzi»

Claudio Cera, l'inventore
di di Simona Orlando
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Sabato 2 Giugno 2018, 11:46 - Ultimo aggiornamento: 11:47
Una brillante idea, poi l’incidente mortale, il buio, e una seconda possibilità di vita. Claudio Cera, romano di 46 anni, è l’inventore del Dr.Why, il gioco a quiz multirisposta esportato in Portogallo, Spagna, Polonia, Svizzera, Venezuela, che in 5000 locali ha fatto partecipare oltre un milione di giocatori. Basta formare un gruppo di amici, scegliere un pub che ha programmato la serata Dr Why, chiedere una pulsantiera allo staff e sfidare gli altri tavoli su domande di cultura generale o su un tema specifico a scelta (sport, serie tv, cartoon, musica). Le squadre poi si ritrovano nella classifica on line aggiornata, si incontrano assiduamente nella community scambiandosi opinioni, dandosi appuntamento nei pub in trasferta fino ai campionati.

Una storia a lieto fine, iniziata con una tragedia.
«Stavo pensando a un gioco dove tutti potessero gareggiare, socializzare, mettendo a frutto la mia esperienza di elettrotecnico, le nozioni di informatica. La sera del 25 marzo 1997 caddi dal motorino, quasi da fermo, ma non avevo il casco, all’epoca non era obbligatorio: sbattei la testa sull’asfalto. Finii in coma, mi risvegliai 12 giorni dopo».

Ricorda il momento del risveglio?
«Stavo sognando di correre in gara con Max Biaggi. Cademmo dalla moto e i medici intorno dicevano che stavo morendo, dentro di me urlavo che invece ero vivo, a quel punto ho aperto gli occhi: ho visto i miei parenti. Il dottore mi fece una valanga di domande. Ma ero ignaro di quello che mi era accaduto. Non ricordavo nulla. Mi sembrava un quiz: ecco le origini del Dr. Why».

Come ha investito il risarcimento dell’assicurazione?
«Per tre anni ho lavorato al mio progetto anche di notte, in una stanza di 18 metri quadrati, con un saldatore, centraline e grovigli di fili. Non esisteva internet per documentarmi, andavo a tentativi per la comunicazione a filo. La prima pulsantiera pesava due chili, nel 2001 tentai di farne una wireless ma impazziva quando suonava l’allarme di un’auto nel parcheggio, allora l’ho creata di legno. Oggi è un kit leggerissimo, senza fili, effetti cromatici a tempo di note».

La prima volta che ha provato il Dr. Why in un pub?
«Un dramma. Il meccanismo saltava, ripeteva sempre la stessa domanda, i clienti erano furiosi. Mi scusai con il gestore e mi pagò lo stesso. Per lui, se la gente si arrabbiava, significava che voleva partecipare. Mi ordinò 80 pulsantiere, io ne avevo solo 12».

Il gioco ha subìto il contraccolpo dell’era digitale?
«E’ ancora molto diffuso, ma non quanto anni fa. Quando non c’erano i social, Netflix e altre offerte casalinghe, si cercava ogni sera la condivisione nei pub. Ora si esce meno e la pulsantiera è diventata un oggetto vintage».

Però?
«Abbiamo realizzato una versione scaricabile, una web app per cellulare. La missione però è creare il più grande gioco a quiz on line del mondo. Abbiamo già tradotto in molte lingue 60.000 domande, l’obiettivo è arrivare a un milione. Ci aiutano ad inserirle su sistema volontari e docenti universitari da ogni Paese».

Un bel giro d’affari?
«Ho sempre visto il gioco come un momento ludico, non business. Voglio far divertire milioni di persone con la cultura: una parte degli introiti sarà destinata al sociale. Sarà un investimento sulle persone».

Altre invenzioni?
«Ho costruito con un socio la Escape Room Exitus, la prima per gradimento a Roma.
L’abbiamo realizzata a mano e creato la storia: gli enigmi vanno risolti in un’ora. Fuggire da una stanza buia, è stata la mia salvezza». 
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