Venezuela in crisi, è fuga di massa delle donne: «Andiamo a partorire in Brasile»

Un pedone cammina davanti a un graffito a Caracas
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Giovedì 17 Maggio 2018, 20:53 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 17:37
Con le elezioni alle porte (si voterà domenica) il Venezuela continua a fare i conti con una crisi sempre più acuta. Secondo un servizio mandato in onda dalla Bbc, le mamme venezuelane sarebbero in fuga nei paesi vicini per partorire, in cerca di una migliore assistenza sanitaria. È una delle tante facce che descrivono la cronica crisi economica in Venezuela.  Ottocento venezuelani ogni giorno attraversano il confine per entrare nel nord del Brasile. In particolare la città di Boa Vista ospita circa 50mila venezuelani, che rappresentano circa il 15% della popolazione.
Yerilin e Richard, in particolare, hanno lasciato il loro paese quando la donna era incinta di otto mesi, e adesso sono
accampati in una tenda in un campo profughi allestito dall'Onu nello stato di Roraima. In Venezuela la situazione era diventata «terribile, a volte facevamo soltanto un pasto al giorno», racconta Yerilin, aggiungendo di essere stata «anemica proprio per una cattiva alimentazione, povera di vitamine». In Brasile, la giovane è riuscita a partorire in tranquillità, ma i servizi sanitari dello stato di Roraima negli ultimi tre anni hanno visto lievitare le richieste di assistenza del 3.500%. E le nascite dei bimbi venezuelani sono cresciute del 228%.

DOMENICA LE ELEZIONI
A tre giorni dalle presidenziali fatte su misura per assicurare la rielezione di Nicolas Maduro, una rivolta di prigionieri politici, rinchiusi nella sede centrale del Servizio boliviariano di intelligence (Sebin) a Caracas, ha rimesso al centro dello scenario politico la violenta repressione di ogni dissenso da parte del governo chavista. La situazione attuale all'interno dell'Elicoide - una piramide con tre facce nata negli Anni '60 come progetto immobiliare di lusso, oggi diventata sede del carcere del Sebin - è difficile da valutare. Ci sono solo testimonianze trasmesse clandestinamente verso l'esterno dai detenuti: da ieri notte è stato negato l'accesso a un gruppo di vescovi, una delegazione della Procura Nazionale e a vari parenti dei reclusi. Una foto di Gregory Sanabria, un manifestante oppositore in attesa di giudizio dal 2014, con il viso tumefatto dai colpi ricevuti all'interno della struttura, ha causato commozione sui social. Un altro prigioniero politico, Daniel Ceballos - ex sindaco di San Cristobal, nello stato di Tachira - ha inviato un messaggio disperato, per chiedere che «qualcuno venga a mostrare la sua faccia in questa prigione sotterranea dove uccidono la gente, dove si violano i diritti umani dei venezuelani, molti senza processo».
La moglie di Ceballos, Patricia Gutierrez - eletta sindaco dopo l'arresto del marito - ha denunciato che Sanabria è stato picchiato da detenuti comuni, con la complicità delle guardie del Sebin, sottolineando che «la situazione dentro all'Elicoide era una una bomba a tempo, e ieri è scoppiata la scintilla che l'ha fatta esplodere».
Il Procuratore Generale, Tarek William Saab, ha dichiarato da parte sua di aver inviato una delegazione al Sebin «per parlare con i reclusi e ricevere le loro richieste», indicando che la situazione è tornata alla calma. Ma, secondo testimonianze dei parenti riuniti da ore davanti all'Elicoide, gli inviati della Procura non sono potuti entrare nel centro di detenzione. Diosdado Cabello, numero due del partito chavista, ha commentato ironicamente la notizia, sostenendo che «appena vanno in galera, a questi presunti prigionieri politici succede di tutto: gli sale la tensione, gli viene la forfora, gli si infiamma un'unghia. E così poi la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (Cidh) può concedere la sua protezione, e i ragazzi posso tornare a giocare con la Nintendo».

L'INTERVENTO DELL'ONU
La situazione è stata invece presa molto sul serio dall'Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani (Unhchr), che ha «deplorato» il «severo pestaggio» di Sanabria, e ha chiesto che «sia garantito un trattamento umano a TUTTI i Prigionieri» e si apra «un'inchiesta sull'uso della tortura», ribadendo che «tutti i prigionieri politici devono essere liberati». Anche il presidente dell'Europarlamento, Antonio Tajani, si è detto «molto preoccupato» per «gli atti di violenza e i maltrattamenti contro chi è stato insignito del premio Sacharov», riferendosi a Ceballos e all'attivista Lorent Saleh, ambedue rinchiusi nella sede del Sebin, che l'anno scorso hanno ricevuto il premio dell'Assemblea di Strasburgo. Sul caso è intervenuta anche la missione diplomatica Usa a Caracas, dopo che è emerso un appello dell'americano Joshua Holt, un missionario mormone accusato di trame golpiste, anche lui in mano al Sebin: «Il governo del Venezuela è direttamente responsabile della sicurezza dei cittadini americani e saranno chiamati a rispondere se succedesse qualcosa», ha dichiarato la missione in un comunicato.
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