Il summit a Milano/Se il Carroccio e Rousseau scippano Roma

di Mario Ajello
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Sabato 12 Maggio 2018, 00:05
Che strana coppia. E che idea sbagliata. Loro sono Alberto da Giussano, quello dello spadone leghista, e Rousseau, non in versione filosofo illuminista ma in chiave piattaforma web dei grillini. Hanno escogitato di portare a Milano, scippando Roma, il vertice decisivo per la nascita del governo tra M5S e Carroccio.

Si tiene oggi al Pirellone, e non alla Camera e neppure al Senato, e non nella Capitale ma nella metropoli lombarda. Può sembrare un dettaglio logistico insignificante. Rappresenta invece un segnale inquietante. Se risponde a una logica di decentramento, non è la logica giusta e questo non è il momento adatto per proporla.

Si va sul grattacielo della Regione Lombardia perché Montecitorio è chiuso il sabato? Ma il sabato non è mai chiuso! Però dicono i leghisti e i grillini: Milano è più comoda per un incontro così. Chiesto dai lumbard perché loro nel week end sono tutti lì. Ma avrebbero potuto, anzi dovuto, benissimo restare qui. Andare a Milano significa snobbare Roma e vuol dire oltretutto recarsi a casa Casaleggio. Sembra un omaggio. 


Somiglia quasi a un vassallaggio a quello che è il titolare del partito azienda e tra il Pirellone e via Morone, sede della Casaleggio Associati, la distanza è breve. La scelta del luogo è come una sorta di indicazione di chi comanda. E il trasloco meneghino avviene proprio nelle stesse ore, altra idea che contrasta con la storia democratica e repubblicana, in cui s’è deciso che il contratto del governo grillo-leghista verrà fatto votare sulla piattaforma privata Rousseau.
<HS9>La comodità e il vassallaggio (con in aggiunta l’ammirazione, e la subalternità, che la grande metropoli del Nord suscita nei grillini alla Di Maio, per lo più sudisti) sono insomma criteri che non reggono e non possono giustificare lo sgarbo nei confronti di Roma. Eppure, lo scippo c’è stato. Ed è un errore, anche perché proprio la Capitale d’Italia mai come adesso, in cui c’è un partito del Settentrione (la Lega) e un partito del Meridione (i 5 stelle), dev’essere il luogo riconosciuto di incontro e di sintesi tra due mondi politico-territoriali e due elettorati che devono connettersi. Il dubbio, invece, è che sia stata scelta Milano anche perché i contraenti del patto di governo, entrambi promotori e vincitori del referendum sull’autonomismo nel novembre scorso e almeno su questo molto uniti, la considerano il luogo più simbolico delle loro convergenze sull’assetto simil-federale da dare all’Italia. E ancora: per M5S, Milano è la necessità di farsi vedere al Nord, dove toccano poco palla e la paura di scarsi risultati alle amministrative di giugno è crescente. Per la Lega, anche se è Lega Italia, Milan l’è un grandMilan. E inoltre questa città è la culla del penta-leghismo e la sua levatrice fu Casaleggio padre che da lumbard diventò grillino ed è sempre rimasto anfibio. 

<HS9>Dunque, nello scippo, c’è anche una sorta di richiamo della foresta. Del tutto inopportuno. Per la cosa più istituzionale che ci sia, la nascita di un nuovo esecutivo, invece di scegliere la massima sede delle istituzioni, che è Roma, si opta per un’altra città, sia pure importante, e per un altra istituzione, rilevante ma solo padana, qual è la Regione Lombardia che non equivale certo a Palazzo Madama o a Montecitorio. E pensare che proprio i leghisti, ora disposti ad andare chez Casaleggio, erano quelli che non amavano i lunedì alla corte di Arcore. 
Ma il patto tra Rousseau e Alberto da Giussano ha deciso che la nuova stagione politica e di governo da Milano e non da Roma deve cominciare e questo segnale va colto in tutta la sua simbolica gravità. Perché conferma che la testa non più nascosta dei due partiti sta nella capitale lombarda, anche se M5S fa il pieno dei voti al Sud, e che il baricentro lo tengono a quelle latitudini. Rompendo non solo una prassi istituzionale, che ha sempre visto Roma come sintesi e come garante di tutto, ma contraddicendo la storia nazionale e le forme democratiche che essa ha assunto. La scelta dei luoghi non è mai neutra. E questa scelta - che rischia di stabilire una gerarchia: prima il Nord - non è un buon inizio.
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