Rieti, operaio morì per l'amianto
Tribunale decide risarcimento alla vedova

Tribunale
di Massimo Cavoli
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Mercoledì 9 Maggio 2018, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 13:38
RIETI - E’ stato esposto all’amianto dal 1970 al 1992, finendo per ammalarsi di tumore, e adesso, a distanza di dieci anni dalla sua morte avvenuta nel 2008, l’Inail è stato condannato dal tribunale a risarcire la vedova di un operaio della Cisa Sud, azienda del nucleo industriale per la produzione di forni e frigoriferi, versandogli i ratei arretrati relativi alla rendita dovuta al superstite, con l’aggiunta degli interessi, a partire dall’anno della scomparsa.

Respinta la richiesta di prescrizione invocata dalla difesa dell’istituto per la tardiva presentazione della domanda risarcitoria oltre il termine di tre anni («La prescrizione decorre dal momento in cui l’avente diritto viene a conoscenza del fatto che la malattia o il decesso sia stata causa o concausa della morte dell’assicurato. L’Inail non ha dimostrato che all’epoca dell’insorgere della patologia l’operaio avesse o dovesse avere consapevolezza dell’origine professionale della sua affezione, e che quindi fosse già nota la presenza dell’amianto alla Cisa Sud», ha motivato il giudice del lavoro Valentina Cacace) e bocciata l’eccezione relativa al fatto che la malattia non rientrava tra quelle tabellate.

LA DECISIONE
Il tribunale ha ritenuto ampiamente provato - sulla base del ricorso presentato dall’avvocato Domenico Orsini in favore della donna - come il dipendente abbia operato per almeno cinque giorni alla settimana, con turni di otto ore, al controllo di qualità dei prodotti, respirando polveri di amianto presente nella coibentazione di viti, bulloni, guarnizioni e pannelli, che l’aveva portato a contrarre il tumore ai polmoni. In questo senso, decisive si sono rivelate le dichiarazioni dei colleghi di lavoro della vittima, quando affermano che «noi tagliavamo i fogli di amianto bianco per ricavare le coibentazioni e le polveri presenti nell’ambiente venivano convogliate in punto attraverso pistole ad aria e poi raccolte con la scopa», oppure «nella costruzione dei forni dovevamo mettere il rivestimento di amianto sui fianchi e questa operazione produceva polvere».

Emblematica la descrizione resa da un testimone sui sistemi di lavorazione utilizzati alla Cisa Sud: «Arrivava un quadrotto di amianto di un metro per un metro e doveva essere sezionato in quadrotti da 40 centimetri per 30 utilizzando una sega che produceva polvere. A questo punto andava inserito nel forno e sotto le piastre di cottura veniva posizionata una treccia di amianto che serviva perché quando si accendeva la piastra di acciaio si gonfiava per isolare la temperatura». La consulenza medico legale disposta dal giudice, come pure quella di parte depositata dalla difesa, ha poi confermato il nesso causale tra la morte dell’operaio e «l’ademocarcinoma polmonare» insorto a causa dell’esposizione a fibre di amianto.
 
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