Almaviva, sorpresa call center:
prima i sacrifici, poi stipendi più alti

Almaviva, sorpresa call center: prima i sacrifici, poi stipendi più alti
di Diodato Pirone
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Giovedì 3 Maggio 2018, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 00:13
La Resurrezione del call center a Napoli contro la Morte del lavoro a Roma. Una storia di lavoro pazzescamente simbolica quella dei 2.400 dipendenti (800 campani e 1.600 romani) dei due call center di Almaviva che a fine 2016, di fronte al rischio chiusura dell’azienda, imboccarono due strade opposte: collaborazione a Napoli con il via libera a controlli individuali per aumentare la produttività pur di mantenere il posto, scontro e licenziamenti di massa a Roma.
A distanza di quasi 18 mesi ora spunta un primo bilancio dell’esperienza partenopea ed è assai sorprendente perché rompe tanti luoghi comuni sui call center come luoghi di schiavitù moderna.

I fatti: ieri Almaviva ha diffuso i dati dell’andamento del lavoro degli 800 dipendenti partenopei. Sono cifre clamorose. Si parte da un aumento della produttività del 6% e si passa a un miglioramento del 7% degli “Indicatori di prestazione”, cioè della qualità del lavoro. Ma soprattutto spicca un 88% di livello di soddisfazione dei lavoratori. Tutto questo avviene in un call center dove la metà del personale è part time a 4 ore, dunque guadagna poco, ma dove i lavoratori pur di mantenere in piedi l’azienda e il proprio posto hanno accettato tagli triennali agli stipendi e soprattutto il controllo aziendale del proprio rendimento.

A smentire che si tratti della classica favola aziendale da Mulino Bianco sono i sindacalisti, a partire da quelli Cgil. «Abbiamo raccolto una sfida - dice Alessandra Tommasini della Cgil - I lavoratori hanno approvato all’80%, con un referendum, l’accordo con l’azienda. Dunque come sindacato stiamo coadiuvando una scelta difficile e spinosa ma democratica».

IL REFERENDUM
Un referendum molto controverso, quello sul controllo individuale. Spiega Vittorio Desicato della Uil: «E’ una questione delicata ma non siamo in un lager. Il controllo viene effettuato sulla base della collaborazione fra impresa, sindacato e lavoratori, non c’è prevaricazione». «Facciamo un esempio semplificato per capirci - continua il sindacalista - Se il lavoratore A risponde a 100 chiamate e il suo vicino B a 50, si consente all’azienda, alla presenza di un delegato sindacale, di capire la ragione del rendimento più basso di B. Poi si chiede a B cosa propone, se vuole cambiare orario oppure lo si iscrive a un corso di formazione. Insomma nessuna coercizione ma un tentativo di far lavorare meglio la gente».

Ma c’è anche un’altra molla, micidiale, dietro la rinascita del call center di Napoli: i lavoratori sono interessati a che l’azienda torni in attivo. Ogni due mesi Almaviva e sindacati fanno un ceck up sugli incassi dell’azienda napoletana e non appena (forse già questo giugno) sarà superata la soglia del pareggio le buste paga, gradualmente, saliranno e una parte dei contratti a 4 ore saliranno a 5.

Questo spiega anche perché nel call center napoletano siano improvvisamente spuntate centinaia di proposte di miglioramento e perché nel sondaggio anonimo condotto dall’azienda l’84% dei lavoratori abbia notato che vengono esaminate e spesso accolte. «La verità è che ora i lavoratori si sentono ascoltati dai capi e chiedono anche tutele diverse al sindacato», sottolinea Salvatore Capone, segretario regionale Fistel Cisl.

La parola chiave del ritorno alla vita del call center napoletano, dunque, è “condivisione”. Che per una volta riguarda anche le istituzioni che hanno remato assieme ad azienda, sindacati e lavoratori. «Abbiamo stanziato più di un milione di euro per sostenere il reddito dei lavoratori Almaviva attraverso corsi di formazione pagati. E’ meraviglioso sapere che sono stati un ottimo investimento», sottolinea l’assessore al Lavoro della Regione Campania Sonia Palmeri. Non va dimenticato infine il ruolo del ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, che ha eliminato la regola degli appalti al massimo ribasso nel settore. Questo ha favorito la ricerca di una maggiore qualità da parte delle società che usano i call center Almaviva e che può essere assicurata solo da lavoratori italiani.

IL PERCORSO
Di qui infine la palpabile soddisfazione di Almaviva. «Quando si mettono da parte i pregiudizi e si mettono in campo soluzioni serie e condivise, tutti beneficiano del miglioramento. Un anno fa una situazione così buona era inimmaginabile», chiosa il presidente della società Andrea Antonelli.
Ma se il lato napoletano della medaglia Almaviva è solare e speranzoso quello romano resta nero come la pece. Dopo il licenziamento di massa, il più ampio degli ultimi 25 anni, scattato alla vigilia del Natale 2016, il Tribunale del Lavoro della Capitale è intasato dalle cause di lavoro intentate da un migliaio degli ex-dipendenti capitolini. Finora Almaviva ne ha vinte una trentina e perse un paio. Tra poco si passerà agli appelli e, per la gioia degli avvocati, si andrà avanti così per anni.

La morale della storia la traccia Calenda. «Come abbiamo sempre sostenuto - dichiara il ministro - la decisione dei sindacalisti romani di Almaviva che, senza consultare i lavoratori, nel 2016 bocciarono un accordo che prevedeva di continuare il negoziato, peraltro sottoscritto dai sindacati confederali, è stata assurda e controproducente. I dati sul call center di Napoli dimostrano che esisteva una strada valida per tutelare i lavoratori. C’è davvero una grande amarezza per come sono andate le cose».
 
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